BERGAMO – È stato il primo rinforzo del mercato estivo dell’Atalanta, erano i giorni in cui si parlava di nuovi attaccanti e con de Roon e Koopmeiners in rosa, il suo ingaggio sembrava potesse concretizzarsi un po’ più avanti. Arrivato dalla Salernitana con una valutazione di circa 25 milioni di euro dopo appena sei mesi in Italia (bravo Sabatini a scovarlo in Sudamerica e acquistarlo per 6,5 milioni), il centrocampista brasiliano Ederson si sta pian piano ritagliando uno spazio sempre più importante a Bergamo. Lo abbiamo incontrato a Zingonia, ci ha accolto con tanti sorrisi, la voglia di raccontare un po’ chi è e la semplicità di chi ha avverato il suo sogno. Lo stesso che, a mamma Edilene, confessò quando aveva appena sei anni.
Ederson, partiamo dalle radici: se le diciamo Campo Grande, qual è il primo ricordo?
«La mia casa, la mia famiglia, i miei amici. Vicino c’era un campetto dove giocavamo tutti insieme. Campo Grande è la capitale del Mato Grosso, sono rimasto lì fino ai 13 anni quando sono andato a San Paolo per giocare nel Desportivo Brasil. A 18 sono passato al Cruzeiro e poi al Corinthians e alla Salernitana. Ora sono a Bergamo».
Lei e Toloi alla Dea, due brasiliani del Mato Grosso compagni di squadra. Parlate mai di casa vostra?
«Sempre. Parliamo della fazenda di Rafa, del caldo che c’è, delle nostre famiglie. Anche quando giochiamo alla PlayStation, spesso la sera collegati da casa».
Andiamo in campo. Trequartista, mezzala o mediano: chi è Ederson?
«Sono sempre stato abituato a giocare da mediano o mezzala, per me il ruolo da trequartista è una novità ma sono a disposizione del mister per adattarmi. Gioco dove serve, posso farlo senza problemi».
Ma c’è un momento in cui ha capito che voleva fare il calciatore?
«Lo ricordo perfettamente. Avevo sei anni, con mia mamma Edilene stavo andando a scuola e siamo passati vicini ad un campo da calcio. “Mamma, io voglio fare il calciatore”, le ho detto. Lei mi ha risposto: “Ma come facciamo?”. “Portami in quel campo e io diventerò calciatore”. È andata così. Ho capito poi che potevo davvero diventarlo intorno ai 15 anni, vedevo compagni più grandi che giocavano ad alto livello e venivano anche chiamati in nazionale. Allora mi dicevo “voglio farcela anche io”. Per i brasiliani, tra i ragazzini, è il sogno più grande».
Esther e Myckaela, sua figlia e sua moglie, sono le donne di casa. Avete appena festeggiato il matrimonio. Emozioni?
«Sono la mia forza, la mia famiglia. Qui a Bergamo, Myckaela si trova meglio di me perché apprezza anche il freddo, io sto un po’ meglio al caldo (ride, ndr). Però sono felicissimo. Mia moglie è sempre al mio fianco, siamo amici da tanto tempo e poi quando è nata Esther, che ha due anni e presto andrà all’asilo in città, il nostro amore è diventato ancora più grande».
Più difficile allenarsi con Gasperini o fare il papà della piccola Esther?
«Con il mister si lavora tantissimo, arriviamo in campo sempre con grande voglia e con la convinzione di poter fare qualcosa di importante. Per me non ci sono problemi, ogni giorno si cerca di spingere al massimo».
Un anno fa a Salerno, in estate a Bergamo: cosa è cambiato?
«A parte il mare e, come ho detto, il freddo, credo che Salerno sia un po’ più tranquilla e meno trafficata di Bergamo. Mi piace stare qui all’Atalanta e mi ha fatto molto bene stare qualche mese a Salerno. Sono in Italia da un anno, in Campania ho vissuto poco tempo, ma si tratta di due tappe importanti della mia carriera».
È alla Dea da qualche mese, c’è qualcosa che è felice di aver già fatto e qualcosa che, invece, vuole velocemente migliorare?
«Sono contento di essermi già abituato alle nuove metodologie di allenamento, all’ambiente e alla squadra. All’allenatore. Penso che possiamo fare qualcosa di importante, stiamo bene e la fiducia che sento mi spinge a fare sempre meglio. Voglio migliorare nella partecipazione offensiva al gioco, credo che in fase di copertura le cose non stiano andando male ma davanti posso essere più incisivo. Presente. Decisivo. Non solo con i gol ma anche con qualche assist».
Ha un portafortuna?
«Non ho un oggetto, piuttosto un gesto e un numero. Come Rafa (Toloi, ndr) entro in campo con il piede destro per primo e poi c’è la maglia: il 13 è il giorno di nascita di mia moglie e c’è una storia divertente dietro. Io giocavo con il 15, lei mi disse “dai prendi il 13 che ti porta bene”. Ho insistito con il mio numero e ho avuto alcuni problemi, anche un infortunio. Me lo ha detto nuovamente, ho deciso di ascoltarla e le cose sono cambiate. L’avevo anche a Salerno, l’ho mantenuta a Bergamo».
Se potesse spendere un “Grazie” speciale, a chi lo dedicherebbe?
«Ci sono due persone, per me molto importanti: Cesar Godoy e mamma Edilene. Cesar è il mio procuratore fin da giovanissimo, ho avuto un primo momento intorno ai 14 anni in cui volevo mollare tutto perché le cose non andavano come volevo. Lui mi ha spronato, è sempre stato al mio fianco e mi ha dato fiducia. Sono tornato in campo e pian piano sono arrivato ad essere quello di oggi. La seconda volta che ho avuto un momento di scoramento e difficoltà simile, mia mamma Edilene è stata ancora più dura: “Io non ti riporto a casa, non ho soldi. Devi restare lì”. Ero al Desportivo, prima di andare al Cruzeiro. Tenere duro, grazie a loro, mi ha cambiato la vita».
Chi era il suo idolo da bambino? In Brasile ci sono tantissimi grandi centrocampisti..
«Tra i tanti giocatori che ho ammirato e seguito, il mio idolo è Casemiro. Gioca al top da tantissimo tempo, prima al Real Madrid e ora al Manchester United. Il miglior centrocampista brasiliano degli ultimi anni? Senza dubbio. È sul pezzo da tanto tempo, mi piacerebbe chiedergli come ha fatto a restare così ai vertici in squadre tanto importanti per tutto questo tempo. Impressionante. Quando è arrivato in Premier League ha subito giocato molto bene, come se fosse in Inghilterra da tantissimo tempo. Mi piacerebbe scambiare la maglia con lui, sarebbe davvero un sogno».
Concludiamo con un paio di curiosità: c’è una cosa cui non può rinunciare a tavola?
«La carne, senza dubbio. Un po’ come tutti i brasiliani anche io apprezzo molto le grigliate. Devo dire che qui in Italia non è male quello che ho trovato finora, ma in Brasile è diversa, si cucina un po’ di tutto ed è davvero molto buona».
A Bergamo si mangia bene e il dialetto è speciale. Come siamo messi?
«Abbiamo provato qui a Zingonia i casoncelli, con olio e formaggio quindi in una versione un po’ più leggera rispetto alla ricetta tradizionale. Sono davvero buonissimi. Il dialetto bergamasco non lo conosco ancora, ma a Bergamo ho migliorato tanto il mio italiano: non lo parlavo prima di arrivare in Italia, ora qui a Bergamo le cose vanno alla grande».