Gli veniva naturale stoppare il pallone, alzare la testa, intuire lo scatto di Jair o di Mazzola, e recapitargli il pallone con una fiondata secca che era una sentenza: storia di un calciatore che ha fatto le imprese più difficili a suon di cose semplici
Nell’estate del 1962, mentre tutti ballavano sulle spiagge d’Italia al ritmo di “Quando quando quando”, i tifosi interisti s’interrogavano perplessi sotto gli ombrelloni e si chiedevano se l’avvento del Mago Herrera, giunto due anni prima, fosse davvero la medicina adatta per guarire il popolo nerazzurro, ora umiliato dallo scudetto appena conquistato dal Milan del Paròn Rocco. Il presidentissimo Angelo Moratti spendeva e spandeva, ma i risultati non si vedevano. Don Helenio era sbarcato nel nostro campionato con la presunzione di imporre il proprio gioco, di giocare all’attacco, di fare un calcio spettacolare, e così alla gente era stato venduto il prodotto, neanche fosse una scatola di biscotti, salvo poi rendersi conto che quello stile di gioco non era in linea con la storia italiana.