Se mai domani rivedessimo un Toro come Dio comanda, cioè come invocano i tifosi e come pretende Cairo, ormai vicino a innervosirsi anche in pubblico (non proprio un dettaglio), scopriremmo Juric con in mano un gelato al limon, per dirla con Paolo Conte: «Non avere paura che sia già finita, ancora tante cose quest’uomo ti darà». Quel che si augurano tutti, nel macrocosmo granata, è soltanto questo. Che quest’uomo, vissuto a Torino per due anni da salvatore della patria, mescolando ampie porzioni di pars costruens (la creazione di una squadra e la restituzione di entusiasmo e speranze) e destruens (le svariate critiche alla società), esca dalle sabbie mobili in cui è progressivamente finito.
L’appoggio che ha goduto Juric, in termini di sostegno quasi incondizionato da parte dei tifosi e di comprensione e stima sui banchi della critica libera di giudicare, per un biennio è stato enorme ed è andato a colmare anche le lacune che il Torino società mostrava e ancora mostra: il tecnico ha tappato falle, aggiustato l’aggiustabile e battuto i pugni per migliorare strategie, processi interni e metodologie di lavoro, sull’onda di un percorso di crescita snocciolato concretamente sotto gli occhi di tutti. «Lo stimo molto, provo per lui anche riconoscenza per tutto quello che ha fatto nei primi due anni», diceva lo stesso Cairo prima del derby. Tuttavia adesso il clima è cambiato. Il presidente si è messo in una posizione sopraelevata. Più spettatore, meno coprotagonista: «Ho fatto un passo indietro, Juric preferisce avere la sua libertà. E io lo lascio fare perché so che ci tiene ad avere il controllo».
Torino, i numeri: solo due vittorie
Lo scarto concettuale non passi inosservato. Uno spettatore si trasforma facilmente in giudice, quando gli ingranaggi della squadra non girano. Dopo un mercato elogiato da Cairo e Vagnati con toni anche altisonanti tutte le volte quando è stato loro possibile, il Torino ha messo assieme solo 2 vittorie (Genoa e Salernitana) e 3 pareggi (Cagliari, Roma e Verona), incassando 3 sconfitte (Milan, Lazio e Juventus). E questo Toro poco vincente e troppo perdente è ormai diventato soltanto di Juric: non più del presidente o del suo ds. Loro due paiono quasi stiliti in questa specifica fase, in attesa di scendere dalla colonna e diventare esattori delle tasse, se i risultati continueranno a latitare, settimana dopo settimana. Il dente duole e la lingua va a sbattere lì per forza. Per la serie: Ivan, come la mettiamo?
Toro, statistiche deludenti
Appena 6 gol segnati (ma di cui 3 solo a Salerno) e già 9 subiti. Con nel fianco di Ivan la lancia conficcata del passaggio al doppio attaccante, così chiacchierato, invocato e affastellato nell’utilizzo (vedi contro la Lazio), fino a mostrare contorni da piaga aperta, dal momento che ancora l’altro ieri Cairo sponsorizzava il cambio di modulo, nella fattispecie facendosi portavoce anche di tanto comune sentire. Soltanto il Genoa, in 8 giornate, ha tirato di meno in porta. Preoccupante l’involuzione della squadra nelle ultime 3 partite: Lazio, Verona e derby.
Torino, la Juve e i prossimi giorni
Contro la Juventus i voli pindarici di Vanja, l’Icaro granata, hanno condannato la squadra, senza dubbio: ma troppi giocatori chiave sono in difficoltà già da tempo (Ilic, Ricci, lo stesso Zapata ultima versione e naturalmente il «non disciplinato» Radonjic, come dice Cairo). Alcuni, persino senza soluzione di continuità (Vlasic). E modesto è fin qui risultato anche l’apporto di Bellanova e Lazaro, sulle fasce. Va da sé la produzione di un gioco colorato di grigio per fattura e intensità, spesso prevedibile. E anche i rapporti conflittuali o problematici ammessi dallo stesso Juric con Radonjic, Ilic e Sanabria hanno acuito spigoli, difficoltà e polemiche. Da domani all’11 novembre si apriranno 21 giorni tosti, con 4 partite e un comandamento: Juric, tirato da tutti per la giacchetta, a maggior ragione da chi continua a ripetere di aver speso un patrimonio per rinforzare la rosa, è chiamato a ridare un senso al Toro. Restituendo il Torino migliore dell’ultimo anno, arrivato a un passo dalla qualificazione in Conference (oggi i granata sono quattordicesimi). Subito le forche caudine dell’Inter: un Moloch con le sue fauci (il miglior attacco del campionato). Ma Cairo si è già dato all’esegesi biblica per spiegare al tecnico come motivare meglio i giocatori e ottenere una scossa innanzi tutto caratteriale: «Meno elogi agli avversari, alla vigilia. Anche i nostri giocatori hanno molta qualità. E non raramente Davide batte Golia. Dimostriamo che abbiamo più voglia di vincere».
Juric, il calendario può aiutare
Poi il calendario potrà aiutare: Lecce, Sassuolo e Monza, prima della prossima sosta. Finora il Toro è risultato debole coi forti e non abbastanza forte coi deboli. Tra rupi scoscese, l’inversione del trend è l’unico sentiero salvifico al trivio del come (la personalità e il gioco), del quanto (l’unità della squadra al fianco del tecnico) e del cosa (i punti, il motore primo). E, decisamente al di là di Cairo e Vagnati, se la tifoseria o certa critica tira per la giacchetta Juric in momenti così deludenti, è anche perché gli batteva continuamente le mani quando era lui a farlo. E diceva di crederci. Appieno.