in

Juve-Agnelli, 100 anni d’amore: una storia unica

Il 24 luglio 1923 la famiglia prese il club. La forza della tradizione e l’importanza dell’innovazione: così si è creato un legame indissolubile e vincente

Chi non è mai stato a Villar Perosa non può capire cosa sia Villar Perosa. È il luogo dell’anima della famiglia Agnelli e il fulcro della juventinità. È il posto che meglio racconta un legame lungo cent’anni, perché senza il rispetto della tradizione questo rapporto non sarebbe durato così tanto. Avrebbe perso spinta, entusiasmo, magia e si sarebbe trasformato nella normale connessione tra un proprietario e il suo club. Invece no: tra la Juve e gli Agnelli non è andata così. E anche se stavolta non ci sarà la tradizionale gita in Val Chisone, è da Villar Perosa che si deve partire per raccontare quella che non è solo una storia d’amore. Il tempo rimodella ogni sentimento e un secolo è un periodo così lungo da meritare uno sguardo più profondo.

tradizione e innovazione

—  

E’ anche una storia d’amore, certo. Però, da sempre, è un’avventura ambiziosa, la volontà di gestire una società sportiva con il rigore degli imprenditori, ma anche la partecipazione affettiva. E’ un affare di famiglia. E quindi un mare di emozioni e discussioni, di sorrisi e lacrime, di programmi e bilanci, di passione e ragione. Il 24 luglio 1923 Edoardo Agnelli, figlio di Giovanni fondatore della Fiat, divenne presidente della Juve: da quel giorno il club non ha mai cambiato proprietà. Non c’è nel calcio un altro legame così duraturo e altrettanto forte, indipendente dai risultati, dalle difficoltà, perfino dalle complicazioni politico-sociali (non si può dimenticare il clima rovente degli anni Settanta). Non c’è un connubio che resista altrettanto bene alle successioni, ai cambi generazionali, alle differenti mentalità. Ed è questa, forse, la cosa che stupisce più di ogni altra: John Elkann ha un approccio alla materia bianconera decisamente meno romantico e più disincantato di quello del nonno, ad esempio. Magari avrà fatto qualche riflessione sull’opportunità o meno di controllare ancora la società, si sarà trovato in disaccordo con alcune mosse strategiche, ma quando parla della Juve lo fa con la serietà che dedica a tutti gli asset principali del gruppo. Non avrà mai il trasporto del nonno Gianni o l’attaccamento dello zio Umberto, non dà l’impressione di emozionarsi come loro, ma è perfettamente consapevole di ciò che rappresenta la Juve per la famiglia e anche lui considera un vanto l’indissolubilità di questo legame. Il centenario arriva in un momento più nero che bianco, ma questo fa parte dello sport. Bisogna saper resistere quando le cose vanno male, la Juve è rinata più volte in modo inatteso. E quando fu presa in mano dagli Agnelli, aveva vinto solo un trofeo: lo scudetto degli albori, nel 1905. Tutto il resto è arrivato dopo ma senza mai derogare dai due principi-base: tradizione e innovazione. La progettazione di una macchina di successo, in fondo, ha qualche punto in comune con la costruzione di una squadra vincente: tutto deve funzionare alla perfezione, ogni ingranaggio è fondamentale. In questi cent’anni sono quattro gli Agnelli che hanno ricoperto il ruolo di presidente: dopo Edoardo, toccò a Gianni (l’Avvocato), a Umberto (il Dottore) e di recente ad Andrea, figlio di Umberto e cugino di John Elkann. Ma anche quando al vertice del club non c’era ufficialmente un Agnelli, non è mai mancata una figura di riferimento che dimostrasse l’attaccamento della proprietà e ispirasse le decisioni più delicate.

dall’avvocato fino ad andrea

—  

L’epopea bianconera è fatta di cicli vincenti. La Juve del Quinquennio; quella di Boniperti, Charles e Sivori; la squadra tutta italiana di Trapattoni e poi quella con Platini, Boniek e i campioni del mondo; i trionfi con Lippi e Del Piero; la rinascita con Conte e la striscia di nove tricolori consecutivi. Ma dietro agli allenatori e ai giocatori, c’è sempre stata la famiglia Agnelli. Una famiglia con visioni differenti, legate alle inclinazioni individuali. L’Avvocato amava i giocatori eleganti: Platini, vincente e raffinato, era il campione che meglio rappresentava la sua idea del calcio. Il Dottore aveva un estremo pragmatismo, mentre Andrea, che aveva frequentato lo spogliatoio da ragazzo e ha portato nell’ufficio di presidenza la sua indole di tifoso, ha provato a traghettare la società nel futuro con idee innovative e quasi rivoluzionarie per il calcio italiano, al punto da conquistare fiducia e ammirazione di tanti dirigenti, anche stranieri. Poi ha deragliato, forse spinto dal desiderio di portare la Juve sempre più su (così si spiega l’ingente investimento per Ronaldo) e tenerla allo stesso grado di competitività di club stranieri dal potenziale economico decisamente superiore. Il giudizio sul suo operato va per adesso sospeso perché solo il tempo darà un responso definitivo sugli effetti delle sue ultime decisioni, in particolare quella riguardante la SuperLega. Ma nessun presidente bianconero ha vinto quanto lui (è riuscito a superare Giampiero Boniperti, con cui divide il primato degli scudetti, e Vittorio Chiusano) e questo non può certo essere dimenticato oggi. Solo pochi mesi fa nessuno avrebbe ipotizzato che questo centenario venisse celebrato senza un Agnelli nel cda della società e in un clima di preoccupazione per le ambizioni sportive e la situazione economica. Però lo sport insegna a vivere a testa alta soprattutto questi momenti: c’è sempre una sfida da vincere. E nell’estate in cui l’Arabia Saudita diventa il centro del calciomercato mondiale, la Juve può sorridere per la bellezza di una storia unica. Una storia che ha un passato glorioso e che merita un futuro all’altezza della tradizione. E’ questo il compito, non semplice, che aspetta John Elkann. «Fino alla fine», recita il motto del club. Chissà se una fine ci sarà mai.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


Tagcloud:

L’appello di Romero: “Milan, voglio restare. Qui posso imparare tanto”

“Da Costa Rica, Armenia, Iran e Usa: quanta passione per il Milan in California!”