TORINO – Quando la realtà supera la fantasia e la vita diventa un incubo. Interminabile, lungo 17 anni. E’ la storia assurda piombata addosso a Michele Padovano, ex attaccante della Juventus che ha vissuto sulla pelle le storture fisiologiche di una giustizia dai tempi disumani. Bisognerebbe avere una aspettativa di vita di 160 anni per pensare che 17 siano logici per definire se un uomo è colpevole o innocente. Nel caso specifico il reato non era esattamente quello di un furto di caramelle, bensì traffico internazionale di stupefacenti. E dal 10 maggio 2006, quando venne arrestato, la serenità è evaporata. Soltanto la sentenza di assoluzione dell’altro giorno, era il 31 gennaio – per non aver commesso il fatto – ha messo fine al suo infinito giro sulle montagne russe dell’emozione: da una condanna a 24 anni in primo grado ridotta a poco più di 8 in appello con il rischio concreto di tornare in carcere, il ricorso in Cassazione che porta all’annullamento della sentenza e quindi la vittoria in appello di fine mese.
Padovano: “Quando è squillato il telefono…”
Ora in teoria la Procura generale potrebbe ancora fare ricorso, ma perlomeno la bilancia della giustizia è tornata a pendere in maniera chiara ed inequivocabile dalla parte del torinese. Che racconta con una energia ritrovata e una voce tornata limpida come per magia la giornata più bella della sua vita: «La notizia mi è arrivata a casa. Per scaramanzia, insieme ai miei avvocati Michele Galasso e Giacomo Francini, avevamo deciso di riproporre le postazioni della vittoria nel ricorso in Cassazione. Così nel pomeriggio, dopo che verso le 15 è stata letta la sentenza, è squillato il telefono e mi sono sentito dire questa frase bellissima: «Michele, sei stato assolto!». Giuro che non ho capito più niente talmente la felicità ha preso il sopravvento. Non esistono parole in grado di rendere l’idea di quell’istante. Sono scoppiato a piangere insieme a mia moglie Adriana e mio figlio Denis ed è stato un lunghissimo abbraccio».