Pessina, un po’ si rivede in Cristiano Lucarelli che andò al Livorno per riportarlo in A e scrisse pure un libro, “Tenetevi il miliardo”, per raccontare la sua storia?
«Quanto è accaduto al sottoscritto fa capire che anche oggi ci sono giocatori che tengono alla maglia, alle proprie origini e alle proprie radici. Io sono nato a Monza, ho passato dieci in questa società tra settore giovanile e prima squadra e tengo tantissimo non solo al club, ma alla città, ai tifosi, alla gente di Monza. Per questo il mio ritorno è proprio una bella storia».
Ce la racconti.
«Si sono legate tante cose in questi anni, a partire dai trentamila euro che il Milan versò al Monza quando ero ancora un ragazzo per far sì che il curatore fallimentare riuscisse a pagare gli stipendi dei magazzinieri, della segreteria, gente che non prendeva i soldi da mesi. È stato un gesto d’amore di Galliani, che allora era amministratore delegato del Milan, per il suo Monza perché avrebbe anche potuto prendermi a zero».
A proposito: quanto è stato determinante il pressing di Galliani per il suo ritorno a Monza?
«Tutto è nato il 2 giugno: ero a Wembley in Nazionale per la “Finalissima” con l’Argentina. Mi chiamò e disse “Pronto Pessina, volevo solo dirti che siamo saliti in Serie A”, e mi ha messo giù. Dopo un mese è partita la trattativa. Galliani è stato fondamentale nella mia scelta perché è una persona di cui mi fido: nel calcio ne ho viste tante di persone di tutt’altra pasta, pure qui quando avevo 16-17 anni. Lui se ti dice una cosa è quella, se ha dei progetti vuole farli davvero e non ti racconta certe cose solo per provare a intortarti».
Già, e per questo non si fa peccato a pensare che lei, se Berlusconi e Galliani fossero ancora al Milan, oggi sarebbe a Milanello con loro…
«Sì, e col dottore ci scherziamo pure. Lui mi prese al Milan perché vedeva in me delle grandi doti. Quando il club è stato venduto, subito fecero uno scambio più soldi con l’Atalanta per Conti e a Galliani questa cosa ancora non va giù perché mi avrebbe tenuto lì».
A proposito di Atalanta: quanto c’è di Gasperini nella sua crescita?
«C’è molto perché è stato il mio primo allenatore in Serie A e mi ha fatto capire che per restarci servivano cose di cui non avevo mai tenuto conto: si alza il ritmo, il livello, la qualità, ti fa capire che devi allenarti con la massima intensità e devi essere più forte degli altri altrimenti non giochi. Magari vuole inculcarti queste cose con metodi anche duri, però, se uno è intelligente, ci arriva a capire quanto sia importante seguirlo. Lui è un grande allenatore: per i risultati che ottiene e pure per i bilanci che fa fare ai club dove lavora, creando un circolo virtuoso perfetto per quello che deve essere una società di calcio».
Perché le grandi hanno “paura” di Gasp?
«È difficile da spiegare, ma va detto che oggi ormai l’Atalanta è una grande squadra e lì può lavorare magari senza i freni che gli metterebbero altrove».
Nel 2023 essere una bandiera nel calcio è fuori moda?
«No, non lo è. Perché se uno rimane tutta la carriera nella stessa squadra viene apprezzato anche dai tifosi avversari. Poi sono scelte di vita e capisco anche chi vuole andare via a parametro zero per guadagnare più soldi: però in quel caso ci sta che tu venga criticato dai tifosi per le scelte che hai fatto. Io ho passato sette anni lontano da Monza, sono tornato e non penso di essere una bandiera, però sento l’affetto di tutti. Questo sentimento mi piace, lo percepisco bene e vivo anche di queste sensazioni».
Monza ha puntato forte sull’italianità.
«E questo lo apprezzo tantissimo. Molti non si rendono conto quanto faciliti il lavoro di un allenatore, che deve far passare le sue idee, avere tanti italiani in rosa. In più, anche per uno straniero è più facile arrivare e inserirsi. Per questo ritengo che, se verremo seguiti in questa scelta, il nostro campionato aumenterà di livello. E sarà più contento pure Mancini…».
Dall’arrivo di Palladino marciate a ritmo da Champions. Dica la verità: visto come eravate partiti, se lo sarebbe mai aspettato?
«Appena arrivato a Monzello, avevo visto le potenzialità di questo gruppo, il talento c’era. Palladino lo conosco molto bene perché abbiamo anche giocato insieme sei anni fa a La Spezia e sapevo bene che impronta avrebbe dato alla squadra. Tra l’altro, il giorno che hanno scelto di promuoverlo in prima squadra ne avevamo pure parlato e mi aveva detto “ho visto i vostri dati e dobbiamo aumentare la capacità fisica, aerobica e atletica”. Così ha fatto».
Che allenatore è?
«Lui ha studiato da Gasperini e Juric, in più ha una storia ancora “fresca” da calciatore in Serie A. Come loro, negli allenamenti punta ad andare forte e ai duelli a tutto campo, la differenza è che ci dà più libertà a livello tattico. Noi l’abbiamo seguito e abbiamo ottenuto questi risultati».
Qual è stato finora il momento più bello della stagione?
«Ce ne sono stati tanti perché, anche se sembra una banalità da dire, la forza di questa squadra è il gruppo. Io poi con Palladino avevo già un bellissimo rapporto di amicizia e ritrovarci in una nuova veste ci sta facendo crescere molto: lui mi dà tante responsabilità però ne prende altrettante».
Gli dà del tu o del lei?
«Del lei quando siamo tutti insieme, se devo telefonargli lo chiamo Raffa… Tornando al discorso di prima, si percepisce, quando allena, che è proprio un uomo vero».
E il momento più brutto?
«Quanto è capitato a Pablo Marí. Da quella vicenda terribile è nata una fratellanza tra noi ancora più forte che poi ci ha permesso di fare quanto stiamo facendo».
Matteo, la ferita per l’esclusione al Mondiale è ancora aperta?
«Sì, e lo sarà fino al 2026».
Lei, oltre a giocare, studia.
«Sono iscritto a Economia con indirizzo marketing alla Luiss, la settimana scorsa ho fatto l’esame di diritto privato a Roma assieme a Cristante».
E come è andata?
«Bene, abbiamo preso entrambi 26!».
Ha già idea di cosa fare dopo?
«L’idea è rimanere nel mondo del calcio».
Studiare aiuta a essere anche calciatori migliori?
«Da giovane, anche se mi volevano Milan, Inter, Torino e Samp, sono rimasto a Monza perché stavo bene, mi sentivo a casa e studiavo. E giocare a calcio l’ho visto sempre come uno sfogo. Studiare ti apre molto la mente e, per un centrocampista, la velocità di pensiero è fondamentale».
Ultima curiosità: la fascia gliela ha data di imperio Galliani?
«Sì, e l’ho accettata volentieri perché sento che sotto responsabilità do il meglio. A me poi non pesa perché non ho niente da nascondere, ho un carattere equilibrato e so gestire ogni situazione».
A proposito, complimenti per il rigore tirato con la Samp, sotto la curva a tempo scaduto.
«Già, e Chiffi, tanto per non mettermi pressione, mi ha pure detto “Se lo para, fischio”: non c’è ribattuta». E giù una risata.