Del primo, ovviamente Alessandro Buongiorno, abbiamo parlato con il secondo, Aldo Agroppi, che la maglia granata l’ha indossata dal 1967 al 1975, quando venne ceduto al Perugia. E non ha nascosto l’entusiasmo per la scelta del difensore di restare al Toro: «Bisogna studiarlo perché è un caso rarissimo al mondo».
Cosa ha pensato quando ha letto la notizia del no di Buongiorno all’Atalanta?
«Non ci potevo credere, ho gridato “viva Buongiorno”. Ha fatto una pazzia, una cosa stupenda. Si dice che il buongiorno si vede dal mattino, noi invece ora Buongiorno lo vedremo la mattina, il pomeriggio e anche la sera».
Quella di restare è stata anche una scelta in controtendenza con quanto avvenuto in estate, con tantissimi calciatori che hanno lasciato l’Europa per andare a guadagnare di più altrove.
«È un grande: infatti, ha dato una lezione al calcio mondiale. Ha rinunciato anche a migliorare la propria posizione economica per restare al Torino. La sua è stata una scelta di grande valore morale che andrebbe premiata».
Premiata dal Torino promuovendolo – per quanto la fascia sia meritatamente sul braccio di Rodriguez – immediatamente a capitano?
«La fascia se la merita, diamogliela subito. Ma una scelta come la sua di restare nella propria squadra, in questo momento storico, andrebbe premiata ancora di più».
In che modo?
«I giovani devono capire che il calcio non è il gioco del denaro, è giusto guadagnare ma non speculare. Ogni anno vengono dati tanti premi, quelli per gli allenatori, quelli per i migliori calciatori, ma sarebbe giusto che la federazione desse anche significato a questi gesti che devono essere da esempio per i giovani».
Possiamo già immaginare Buongiono come una bandiera del Torino anche negli anni che verranno?
«Ha giurato fedeltà al Toro, ora quella scelta di fedeltà deve portarla fino in fondo. Si è impegnato non solo per il presente ma anche per il futuro al Torino, deve terminare la carriera con la maglia granata addosso, altrimenti poi anche le valutazioni cambierebbero».
Si è stupito del fatto che la società si sia invece seduta al tavolo per trattare con l’Atalanta la cessione di Buongiorno?
«No, che la società tratti per il trasferimento di un calciatore ci può stare, sono stati però bravi a non forzare a tutti i costi la cessione. Quando Buongiorno ha detto che avrebbe voluto restare non gli hanno fatto pressioni per mandarlo via ugualmente. Bisogna darne atto. Per questo onore anche alla società. Mi ha toccato la decisione di rispettare la volontà del calciatore, anche perché con me andò diversamente quando venni ceduto al Perugia».
Come andò quella volta?
«Anche se trasferendomi al Perugia potevo guadagnare di più, non volevo andare via. Avevo le idee chiarissime: io volevo restare al Torino. E invece fui ceduto senza che nessuno mi avvisasse, né un cenno, né un abbraccio, né un salto. Niente. Piansi, lo considerai un affronto. Posso capire che la società volesse cambiare mandando via la vecchia guardia: Ferrini si era ritirato, io e Cereser fummo ceduti. Sarebbe però bastato che ce lo dicessero in altro modo».
Tornando a Buongiorno, c’è qualcosa che vorrebbe dirgli?
«Alessandro sei un grande, ti aspetto a casa mia per un pranzo».