A casa del presidente della Liberia, ex bomber rossonero: “Ricordo gli scudetti in rimonta, se credi in un obiettivo e hai qualità poi lo raggiungi. Vorrei mio figlio Timothy in Italia. E della finale di Champions c’è una cosa che non ho capito…”
19 giugno
– MONROVIA (LIBERIA)
C’era Springfield, aeroporto voli privati: da lì a volte decollava George Weah per tornare in Europa. Poi ci sono state macerie, terreni incolti, sempre più miseria. Ora sullo stesso suolo è steso il prato sintetico dei campi di calcio, ci sono spazi per giocare a basket, pallavolo, tennis. C’è una palestra per allenarsi. Ci sono case per qualcuno che non l’aveva. George Weah si guarda intorno orgoglioso. “Questi bambini che vede giocare possono studiare e fare sport. Prima non potevano”.