Aimo Diana, qual è la prima immagine che le viene in mente nel momento di questo trionfo?
«Il giorno in cui presi la mia macchinina e andai, da solo, a Melfi per cominciare davvero la carriera da allenatore professionista. Fino ad allora avevo allenato le giovanili della FeralpiSalò e la prima squadra dei lacustri salendo in corsa senza sapere se fossi stato all’altezza di questo lavoro».
Ci sono stati poi gli anni alla Sicula Leonzio e al Renate (dove aveva già sfiorato la B) prima del biennio alla Reggiana. Oggi che allenatore e che uomo è Aimo Diana?
«Molto soddisfatto per aver portato la Reggiana in B, anche se avremmo potuta farcela già l’anno scorso. Sto cominciando a digerire solo adesso il gol su rinvio del portiere del Modena, Riccardo Gagno».
Cosa intendeva quando alla fine della gara con l’Olbia ha detto che ora non tutti potranno salire sul carro dei vincitori?
«Ho già chiarito con quelle 3-4 persone, alla quali dovevo dire certe cose. Con educazione, ma fermezza. Adesso è tutto bello, felice, è giusto che si festeggi, ma non dimentico che ne ho sentite e lette di tutti i colori sul sottoscritto e sulla squadra eppure in due anni abbiamo fatto 166 punti».
Tra l’altro lei è un allenatore che cerca di arrivare alla vittoria tramite il gioco. Forse è questo il messaggio che non passa nel calcio italiano?
«Vincere è difficile, vincere cercando di giocare il miglior calcio possibile è doppiamente difficile. Già al Renate avevo proposto le mie idee e abbiamo fatto ottimi campionati. Quest’anno a volte ci siamo adeguati, proponendo un gioco più verticale, in base alle caratteristiche dei giocatori e degli avversari. Non avevamo in rosa gente che fa battaglia, ma quando è servito siamo riusciti a diventare anche quel tipo di squadra. È il quid in più per un gruppo e un allenatore che vogliono crescere».
Sembrava che lei dovesse andare in Serie B già l’estate scorsa: Sudtirol, Ascoli e Perugia l’avevano messa in lista d’attesa poi però ha dovuto fare per la seconda volta almeno 80 punti in C e salire sul campo. Questione di sponsor, di pubbliche relazioni?
«Probabilmente non sono mai stato la prima scelta di chi mi voleva. Io sono come sono: rispetto tutti, lavoro con le mie idee, ascolto quelle degli altri, ma evidentemente, come mi era già successo da calciatore, per arrivare un po’ in alto era destino partissi dal basso. Mi sono costruito uno staff tra l’altro con bresciani o ex Brescia come me: Alessio Baresi, Gianpaolo Saurini, Alessandro Belleri e il prof argentino Estaban Anitua. In questo calcio, per un allenatore, è fondamentale avere vicini gli uomini giusti».
Come mai non è certa la sua prosecuzione del rapporto con la Reggiana? Ancora vecchie ruggini?
«Il mio contratto si è rinnovato automaticamente con la promozione, non sono quello che rimane solo per vincoli su carta. Bisogna essere convinti del nuovo progetto che ci aspetta e dobbiamo esserlo entrambi: io e la società con cui ho un buon rapporto. Fu così anche l’estate scorsa, quando parlai pure con i giocatori rimasti per capire quanta voglia di rivalsa avessero».
Lei è amico di Roberto De Zerbi, con il quale vi consultate spesso, il vostro calcio non è però proprio uguale. Per lei non è tassativo partire dal basso…
«Nessuno gioca allo stesso modo di un altro, ogni allenatore deve metterci qualcosa di suo, di nuovo, di diverso. Il famoso quid in più»
Segue sempre con affetto il Torino?
«È stata una delle mie esperienze più belle, piazza fantastica. Il granata è il colore del mio destino, dato che ho giocato pure nella Reggina. Il mio era un altro Toro, non aveva certo questa stabilità in Serie A, adesso però non capisco perché sia sempre a metà strada e non riesca a salire un po’ più su».
Cosa apprezza di Juric?
«Segue il filone gasperiniano, ma non si limita a giocare uomo su uomo, fa se possibile un gioco ancora più tecnico del suo maestro. Mi piace molto la passione che mette nel suo lavoro».
Se un giorno Cairo la chiamasse al posto del croato?
«Il mio sogno è arrivare ad allenare in Serie A. Farlo al Torino sarebbe il massimo per uno come me che quella maglia l’ha indossata».