Dopo l’umiliazione subita martedì sera al Jose Alvalade, che ha fatto salire a tre il numero delle sconfitte subite dal Man City in una sola settimana, l’unica notizia positiva per Guardiola è che avrà molto presto l’opportunità di una rivincita personale, visto che fra una settimana Ruben Amorim si siederà sulla panchina dello United proprio con l’obiettivo di provare a ristabilire gli equilibri cittadini di un tempo. Per il resto, invece, Pep si porta via da Lisbona una sgradevole certezza: la sua squadra sta vivendo se non il peggiore, sicuramente uno dei peggiori momenti sotto la sua gestione. La settimana scorsa contro il Tottenham, in quella Coppa di Lega che Pep ha sempre un po’ snobbato e con con una formazione infarcita di ragazzini, la sconfitta tutto sommato poteva anche starci. Quella subita sabato in casa del Bournemouth aveva invece fatto accendere qualche spia in più, soprattutto perché arrivata a margine di una gara in cui le Cherries avevano dominato, mostrando alla Premier il volto di un City vulnerabile.
City privo di energie e idee
Martedì sera la maschera è caduta completamente, mostrando gli inconfondibili lineamenti di una squadra in crisi di gioco e in difficoltà fisica e mentale: contro lo Sporting, per la prima volta da quando Pep ha messo piede a Manchester, il City è apparso nella stessa gara privo di energie, di entusiasmo e di idee. Tutto questo nel calcio si riassume con una sola parola: crisi. D’altra parte, chi è stato chiamato a esprimersi dopo la sconfitta di Lisbona non si è nascosto dietro frasi fatte e paccottiglia verbale tipica dei post gara. Bernardo Silva, per esempio, ha ammesso: «È difficile trovare le ragioni di quello che ci sta succedendo, non ricordo di aver perso tre partite di fila in 7 stagioni e mezzo. Al momento siamo in un posto buio, e tutto sembra andare per il verso sbagliato». Un posto buio l’ha definito Silva, un luogo pieno di interrogativi a cui bisognerà velocemente trovare una risposta per non rischiare di farsi travolgere dagli eventi.
City, ciclo finito?
Perché le domande da porsi sono tante. La prima, che sorge quasi spontanea, è se il City abbia ancora fame o dopo anni di dominio stia mostrando i primi segni della fine di un ciclo? L’altra, invece, riguarda il peso di un’assenza: non è affatto un caso, infatti, che questo calo di gioco prima (anche con Wolverhampton e Southampton i Citizens avevano fatto fatica, trovando però la vittoria), e di risultati poi coincida proprio con l’assenza forzata dell’unico giocatore che Pep considera insostituibile, il neo Pallone d’Oro Rodri. Queste sono le due principali questioni a cui bisognerà trovare una risposta. Ma non sono le uniche. Intanto, il catalano si mostra tranquillo, e attende con fiducia che qualche pedina – De Bruyne per esempio – torni pienamente arruolabile: «Ora più che mai voglio sollevare questa squadra e riportarla al suo livello più alto», ha detto dopo la batosta di Lisbona. E se lo dice lui bisogna crederci.
Il Real Madrid
Il Real Madrid non vince due campionati di Liga consecutivi dal biennio 2006-2008. Trionfi che non diedero di certo stabilità né al club né ai tecnici protagonisti del trionfo, considerato che Fabio Capello fu esonerato subito dopo e Bernd Schuster durò in panchina solo qualche mese in più del suo predecessore. Per quanto riguarda la Champions League, invece, il triplete messo a segno dalla Casa Blanca tra il 2015 e il 2018, con Zinedine Zidane in panchina, ruppe una maledizione quasi trentennale che impediva alla stessa squadra di imporsi nella massima competizione continentale due anni fila. L’ultimo club a riuscirci, prima dell’impresa di Cristiano Ronaldo e compagni, era stato, infatti, il Milan di Arrigo Sacchi, campione d’Europa nel 1989 e nel 1990. Insomma, statistiche alla mano, il Real campione di Spagna e d’Europa in carica non ha molte probabilità di ripetersi. Tuttavia, c’è modo e modo di perdere o, se vogliamo, di non vincere, sebbene al Santiago Bernabéu i due concetti coincidano. E se c’è una cosa che i tifosi merengues non sopportano è di essere sbeffeggiati all’interno del proprio tempio. Ed è per questa ragione che le recenti sconfitte contro il Barcellona e il Milan fanno ancora più male. Sette gol incassati e solo uno segnato, su rigore. I numeri non sempre raccontano tutta la verità, ma quasi mai mentono.
Ancelotti in crisi
E già, perché, risultati a parte, a preoccupare è la sensazione di impotenza trasmessa da una squadra irriconoscibile, incapace di difendersi e di concretizzare le occasioni da gol che uno squadrone come quello a disposizione di Carletto finisce, inevitabilmente (e, a volte, involontariamente), per creare. E così, c’è poco da sorprendersi del fatto che il Bernabéu abbia già cominciato a fischiare la propria squadra perché, per dirla con Lucas Vázquez, «il pubblico è sovrano». Sono diverse le cause che spiegano l’incipiente crisi di una squadra che all’inizio di novembre ha già collezionato una sconfitta in più (3) rispetto a tutte quelle rimediate la scorsa campagna. Ma ce n’è una in particolare che è esplosa in mano a Ancelotti in tutta la sua evidenza: «Dobbiamo essere preoccupati. Prendiamo troppi gol (18 in 16 gare, ndr) per essere una squadra che ha sempre fatto della solidità il suo punto forte». E se i punti di distacco dal Barça in Liga sono già 9 (con una partita in meno), in Champions la classifica è, per certi versi, più preoccupante, soprattutto perché all’orizzonte ci sono quattro incontri tutt’altro che semplici, tre dei quali in trasferta: Liverpool, Atalanta e Brest. Affermare, qui e ora, che Carletto sia a rischio esonero sarebbe un’iperbole tutt’altro che affine alla realtà. Mettere un freno alle figuracce, però, è un imperativo categorico al quale nemmeno un mito del madridismo come lui può sottrar i.