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Dan e Ryan Friedkin, due americani a Roma

Di cose buone gli americani di Roma ne hanno fatte tante, purtroppo hanno anche commesso errori esiziali – di superficialità?, per superiority complex? – creando una frattura enorme, ma sanabile, tra sé stessi e un pubblico che in 63 occasioni ha riempito l’Olimpico.

È importante sottolineare questo aspetto – molta spesa, poca resa in termini di consenso – nel momento in cui un altro miliardario from iuessei – più precisamente italoamericano – Mario Joseph Gabelli, si avvicina alla Serie A, al Monza: mi auguro che il sangue emiliano lo aiuti ad affrontare meglio la realtà del nostro calcio, che non è un calcio comune, perché ha il suo linguaggio, talvolta poco comprensibile allo straniero, le sue dinamiche, i suoi equilibri.

Quanto ai Friedkin, penso che, più o meno volontariamente, abbiano realizzato un’impresa titanica: in poco tempo sono riusciti a rompere con la storia recente della Roma, ossia Totti, De Rossi, Bruno Conti e Mourinho, l’allenatore che aveva saputo trovare immediatamente le coordinate per entrare nel cuore della gente e con due finali aveva portato la squadra ai primi posti del ranking europeo.

Totti resta un caso a parte. In una Roma ideale starebbe lavorando fin dal primo giorno, mentre a quella americana sembra addirittura sgradito poiché scomodo, ingombrante.

E invece risulterebbe utile, molto utile. Un esempio semplice: l’altra sera mi è capitato di pensare a cosa sarebbe successo a Monza se, al posto di Ghisolfi, che ha espresso la sua evidente irritazione in francese senza peraltro raggiungere lo scopo, si fosse presentato lui e l’avesse risolta con una delle sue battute in apparenza sdrammatizzanti ma efficacissime. Tipo «situazioni come questa capitavano spesso anche ai miei tempi». In un sol colpo avrebbe steso La Penna, Aureliano e compagnia cantante alleggerendo i fegati romanisti.

Tutto questo per dire che i Friedkin – e più in generale le proprietà straniere – dovrebbero trovare il modo di dialogare con la piazza. Il calcio italiano sta subendo una colonizzazione poiché – così come in altri settori industriali – ha fame di risorse. Ma il tifoso non si accontenta dei risultati e dei conti a posto: pretende che la storia e l’essenza dei club siano comunque rispettate.

I Friedkin sono una mano santa per la Roma: cosa ci vuole per allungare quella mano alla città, a chi paga l’abbonamento, il biglietto? Una parola semplice e irrinunciabile. Amore. Anche poco.


Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/calcio/serie-a

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