Inglese fluente, ampi sorrisi, tanta voglia di raccontare il suo amore per la Roma: Daniele De Rossi è tornato a parlare nel corso della nuova puntata di “The Overlap on Tour: Unseen”. Davanti a un buon piatto di pasta, in un ristorante tipico romano, l’ex giocatore e allenatore dei giallorossi è stato intervistato nell’ambito della serie che spopola su Sky in Inghilterra, condotta da quattro da ex stelle del calcio britannico che gli hanno fatto visita: Gary Neville, Roy Keane, Jamie Carragher e Ian Wright.
De Rossi e la pressione di giocare nella Roma
De Rossi ha esordito: “Come mai la pressione è così alta per chi gioca nella Roma? Per l’amore per questo club, per il modo in cui siamo. Il calcio è molto importante per noi a Roma, in generale per noi italiani, ma in particolare qui a Roma. Per questo c’è molta pressione. I tifosi della Roma amano la lealtà di un giocatore, l’impegno che profonde in campo. Ovviamente, poi vorrebbero vincere. Abbiamo trascorso dieci, dodici anni senza vincere ma andandoci molto vicino, con nove secondi posti contro club costruiti con duecento milioni più di noi. Non abbiamo mai vinto ma, in quelle stagioni, abbiamo vinto tante gare e alla gente andava bene così. Non ho rimpianti. Anche per come ho lasciato la Roma non rinnovando il contratto al termine di un’ottima stagione culminata nella semifinale di Champions League dopo aver battuto il Barcellona. Come alla Roma, al Boca il calcio è una religione“.
De Rossi e la scelta di giocare solo nella Roma
De Rossi ha poi parlato della fedeltà ai colori giallorossi: “Tutti, qui a Roma, vorrebbero giocare per la Roma. Non si tratta solo di De Rossi, Totti e Giannini. Giocare nella Roma è il sogno di ogni bambino romano. Qualche volta succede che si realizza e in quel momento devi fare una scelta: se sei abbastanza fortunato puoi permetterti di scegliere se andare in un club migliore o rimanere qui. Io ho fatto la mia decisione, calcisticamente una decisione sbagliata, ma per me è andata bene così. Se ricordo quando ho firmato per la Roma? Certo. Ero nelle giovanili e avevo 12 anni. Non giocavo mai, ero sempre in panchina nei primi quattro anni. Ero un giocatore diverso, un attaccante molto leggero, tecnico ma non aggressivo”.
De Rossi sul derby di Roma
De Rossi si è soffermato anche sul derby: “È molto importante per noi. Entrambe le squadre hanno vinto poco. La Lazio ha vinto a cavallo del 2000, avevano una grande squadra come noi. Vinse la Supercoppa Europea contro lo United. Sono sei, sette anni che le due squadre non vincono un trofeo importante e il derby, quindi, diventa fondamentale per la città, per i tifosi. Nel periodo del mio primo derby da allenatore, quattro giorni dopo avevamo i quarti di finale di Europa League contro il Milan e a nessuno importava nulla di quella partita. Il derby muove l’opinioni pubblica, l’interesse della gente”.
De Rossi, Capello e il passaggio da attaccante e centrocampista
De Rossi ha poi raccontato come è diventato un centrocampista: “Avevo sedici anni, stavamo perdendo contro una squadra toscana. Il capitano, un centrocampista come sarei stato io nella mia carriera, venne espulso e il mister mi disse di entrare e giocare nella stessa sua posizione. Andò bene, vincemmo 2-1. Nella gara, successiva giocai di nuovo in quella posizione contro il Pescara. Ricordo tutto perché cambiò la mia vita e così andò in Primavera con lo stesso allenatore, giocando a centrocampo. Fabio Capello mi vide giocare e non sono più tornato indietro. Nell’anno dello scudetto riuscii ad andare un paio di volte in panchina e mi sono sentito una piccola parte di quella stagione. L’anno successivo, giocai quattro, cinque gare”.
La svolta: “Nella stagione ancora successiva Capello cercò di prendere Davids, ma l’affare non andò in porto. Avevo delle squadre che mi volevano, tra cui ChievoVerona, Empoli e Reggina, ma decisi di rimanere perché credevo di poter giocare. Tutti mi dicevano che ero matto e che non avrei mai giocato con calciatori del calibro di Emerson, Dacourt, Tommasi, Zanetti. Alla fine giocai quasi trenta partite”.