Eppure il confronto calcisticamente più corretto non è fra la Fiorentina di Palladino e il Bologna di Italiano, ma fra la Fiorentina di questa stagione e il Bologna della scorsa stagione, quello allenato da Thiago Motta. I punti di contatto sono tanti, a cominciare dall’identità. Quel Bologna e questa Fiorentina hanno in comune lo stesso marchio, sanno giocare in più maniere durante la stessa partita. La loro identità è quella di non avere una sola identità.
Il Bologna di Thiago palleggiava, verticalizzava, attaccava sugli esterni con Orsolini e Ndoye, cercava con pazienza Zirkzee perché poi dall’olandese arrivasse l’imbucata giusta. E si difendeva, quando c’era da difendere, tutto insieme, senza arrossire, la squadra sapeva che nel calcio bisogna essere bravi ad attaccare quanto a difendere. Dopo 14 partite, aveva subìto 11 gol, era settimo in classifica ma aveva la terza difesa del campionato. La coppia Beukema-Lucumi dava le stesse garanzie che oggi dà la coppia Comuzzo-Ranieri alla Fiorentina, terza in classifica ma con la seconda difesa della Serie A con 10 gol subiti.
Palladino, come Thiago Motta un anno fa (non quest’anno…), ha trasmesso alla squadra più di una conoscenza. La Fiorentina può giocare bene, però può vincere anche le partite più incasinate, più difficili da portare fino in fondo, come è successo a Marassi col Genoa, a Torino col Toro e in parte anche domenica col Cagliari. Ma nelle otto vittorie di fila c’è stato più di un momento di bel calcio, come a Lecce (6-0) e come contro la Roma (5-1). I viola prendono equilibrio con Cataldi come il Bologna faceva con Freuler, verticalizzano con Adli come i rossoblù con Ferguson, rifiniscono con Beltran come accadeva al Dall’Ara con Zirkzee, che in più faceva anche gol. Quel tipo di giocatore di fantasia, talento e imprevedibilità ha spinto il Bologna al quinto posto e in Champions, è quanto Firenze spera che accada col pieno recupero di Gudmundsson.
L’unica vera differenza fra Palladino e Thiago è che la Fiorentina non segna poco (28 gol, media di 2 a partita), mentre il Bologna aveva più difficoltà in zona-gol (15 reti alla stessa giornata). Ma anche lo spirito è lo stesso, una evidente unità di gruppo dove tutti giocano per il compagno e per la squadra. Un insieme che coinvolge anche la gente. La scena finale di domenica scorsa al Franchi, con i giocatori seduti sui tabelloni pubblicitari ad applaudire per lunghi minuti la Fiesole (emigrata in Ferrovia) mentre intonava cori per Edoardo Bove, dà il senso di questa straordinaria compattezza. Accadeva lo stesso a Bologna e al Bologna di Thiago, che aveva una polvere magica da spargere sulla testa dei suoi giocatori. Come Palladino, che può muovere la Fiorentina come vuole senza alleggerire il prodotto finale. Lo dicono le otto vittorie di fila.