in

Inter, forza inarrestabile. E la Lazio frana su se stessa

Gasperini e Conte lo hanno sempre pensato, ma ora, purtroppo per loro, ne hanno certezza: per lo scudetto l’Inter non è il terzo incomodo, ma comodamente la prima candidata. Il fragoroso 6-0 dell’Olimpico è la certificazione di una supremazia nata nel tempo. La Lazio era una delle squadre più in forma del campionato, stava volando e così, a testa alta e petto in fuori, ha iniziato la sfida. Anche per questo ha colpito la forza dei campioni d’Italia, capaci di ribaltare alla loro maniera, sfruttando il fisico e i calci piazzati, lo sviluppo di una gara che si stava facendo difficile.
Finché la palla è stata in movimento, la Lazio ha messo sotto l’Inter con mezz’ora piena di bel calcio, con un’occasione non capitalizzata da Noslin e con tante buone iniziative nate da Guendouzi e Rovella, rifinite spesso da Isaksen e un po’ meno da Pedro. Nei momenti decisivi è forse mancato un terzo centrocampista alla Lazio, ma il problema per Baroni, e la soluzione per Inzaghi, è stato quando la palla si è fermata. Una punizione, un angolo, un rigore, è stato tutto una conseguenza, dalla punizione è nato l’angolo, dall’angolo il rigore e su quei tre palloni che andavano trattati come il Dio del calcio comanda, c’era il maestro, Hakan Calhanoglu. Il destro che sembra un laser, la potenza che si unisce alla precisione, lo schiaffo sul pallone che quando viene calciato dal turco ha un suono che sembra musica, o almeno è così per le orecchie degli interisti.
La Lazio era padrona e in quattro minuti si è fatta svaligiare casa. Di sicuro non l’ha aiutata l’uscita di Gila e non solo perché il suo sostituto Gigot ha commesso il fallo da rigore. Preso il primo gol si è disunita, ha perso forza, concentrazione e attenzione, ha lasciato campo al contropiede dell’Inter (condotto anche questo da Calhanoglu) e Dimarco, sul cross di Dumfries, non ha dato scampo a Provedel. È su quel gol (e poi su quelli successivi) che si è vista la differenza fra una squadra entusiasta del suo momento e un’altra che sa il fatto suo, una squadra che sta rincorrendo ad alta velocità il punto più alto della sua dimensione e un’altra che quel punto lo ha raggiunto da anni e non ha nessuna intenzione di cederlo. Bella e brillante la Lazio per trenta minuti, solida, concreta, cattiva e decisa l’Inter per tutta la partita. Ogni occasione, un gol.
La squadra di Baroni ha giocato per la prima mezz’ora la gara che aveva pensato e forse anche quella di Inzaghi l’aveva studiata così, lasciando l’iniziativa ai padroni di casa e difendendosi in dieci nella propria metà campo. Diciamo, un po’ aveva scelto un atteggiamento prudente e un po’ vi era stata costretta dalla velocità della manovra laziale, che recuperava palla in un amen. C’era chi partecipava al gioco (la Lazio) e chi vi assisteva (l’Inter), nella subdola attesa del colpo vincente, o meglio, dei colpi vincenti. Sei in tutto. Tanti, troppi per la Lazio.
Quando i campioni d’Italia sentono il profumo della vittoria, quando vedono la partita in discesa, diventano leoni e l’avversario una tenera preda. L’Inter ha straripato nei primi minuti del secondo tempo, ma è stato tutto toppo facile, la Lazio è crollata su se stessa, ha preso il terzo gol dopo sei minuti e il quarto dopo otto, dimenticando di marcare prima Barella e poi Dumfries, come era successo già con Dimarco. È finita lì, con tutte le riflessioni che si faranno a Formello (non si può franare in quel modo, sei gol fanno male, malissimo) e con tutte le certezze che ritornano alla Pinetina (il primo posto è di nuovo a un passo).


Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/calcio/serie-a


Tagcloud:

Premier League, Bournemouth-West Ham 1-1: Unal risponde al rigore di Paquetá

Lazio-Inter, le pagelle dei biancocelesti: Tavares schiacciato, Pedro non può stragiocare