Nando Orsi, oggi apprezzato opinionista di Sky, nel biennio ’02-04 era il vice di Roberto Mancini alla Lazio. Una squadra, quella biancoceleste, che vinse una Coppa Italia (nel ’03-04) e nella quale giocava Simone Inzaghi autore in quelle due stagioni di 19 reti: «Simone come suo fratello Pippo aveva una grande curiosità per il lavoro quotidiano e soprattutto conosceva tutti i calciatori, gli allenatori e le squadre. Ma non si fermava ai nomi, Simone aveva un’enorme sete di conoscenza, sapeva il modo di giocare di ogni calciatore e le tattiche delle varie squadre. Il suo essere giocatore non si fermava all’allenamento, andava oltre, si informava e questa dote se l’è portata dietro negli anni e l’ha aiutato a diventare allenatore. Poi ha avuto anche fortuna, perché era al posto giusto al momento giusto quando Bielsa ha fatto retromarcia non andando ad allenare la Lazio, ma Inzaghi è stato bravo a cogliere l’opportunità».
Orsi, stasera Inzaghi contro l’Atalanta si gioca una fetta di scudetto? «Sì, è un match point, anche se penso che l’Inter, a differenza delle scorse stagioni quando lasciava punti per strada, oggi sia più centrata, assolutamente focalizzata sullo scudetto, il vero obiettivo della società e di Inzaghi. Se dovesse battere l’Atalanta, diventerebbe però davvero difficile pensare a un’Inter che sprechi un vantaggio di dodici punti e alla Juventus che ne recuperi contemporaneamente altrettanti. La stagione dei nerazzurri non mi sorprende a differenza per esempio quella negativa del Napoli, però non mi aspettavo questo dominio, questo impatto devastante, l’autorità con cui l’Inter, anche cambiando gli interpreti, si impone sugli avversari, e questo è un altro merito di Inzaghi. In questo momento sembra imbattibile».
Lo scudetto è la classica ciliegina che manca a Inzaghi per chiudere un cerchio? «È una spilla da appuntarsi al petto, ma deve essere la prima, non la tappa finale. Lo scudetto deve essere una sorta di inizio di un nuovo percorso. Inzaghi ha grandi qualità e capacità. È un allenatore che sa trovare le soluzioni, sa dare motivazioni, dentro lo spogliatoio si fa sentire, tenendo tutti i giocatori sulla corda. Inzaghi, dal mio punto di vista, oggi è il miglior allenatore della Serie A, per il modo in cui l’Inter sta facendo la differenza di partita in partita».
È già accostabile ad Allegri, Conte o Spalletti? «Non ancora, il percorso è in divenire, è ancora in crescita e sarebbe ingeneroso nei confronti degli allenatori citati perché c’è una carriera differente alle spalle. Detto ciò, personalmente, credo che un tecnico si possa definire “grande” anche senza trofei. Capisco come il vincere e il non vincere sia un aspetto che definisca una carriera, ma si può essere ottimi allenatori valorizzando cento giocatori o dando un’identità precisa di gioco. Penso a Nicola, non avrà chissà quale palmarès, ma è un tecnico che cambia volto alle proprie squadre».
A proposito di identità: il gioco dell’Inter in tre anni è cresciuto tantissimo… «Assolutamente e questo dimostra la credibilità del suo allenatore. Tutti pensano che il 3-5-2 sia un sistema difensivo, Inzaghi invece lo ha trasformato in uno offensivo. L’Inter sa interpretare le gare in vari modi ed è sempre incisiva, sia che schiacci gli avversari nella propria trequarti con una riaggressione immediata, sia che si chiuda e riparta, sia che allarghi di continuo sulle fasce. I giocatori bravi li hanno in tanti, ma il gioco dell’Inter dimostra come ci sia un lavoro profondo ad Appiano Gentile».
È normale quindi che Inzaghi sia corteggiato anche da diversi top club fuori dall’Italia? «Sì, il suo modo di giocare è europeo e lo vedrei bene in Premier perché è un campionato che si sposa col suo modo aggressivo e dinamico di interpretare il calcio. Inzaghi, però, allena una squadra che è fra le prime tre-quattro in Europa e penso si trovi molto bene all’Inter. Anzi, il percorso fatto in Champions la scorsa stagione è servito a dare convinzione a tutti e credo che il prossimo obiettivo, dopo lo scudetto, sia proprio quello di riportare a Milano la Champions».