in

Juve, rotazioni, mentalità, tattica: così Thiago Motta può prendersi la vetta

Sul mercato Giuntoli ha sparato otto colpi: Douglas Luiz, Di Gregorio, Thuram, Cabal, Kalulu, Nico Gonzalez, Conceiçao e Koopmeiners in ordine di arrivo. I due figli d’arte e Nico si sono già fermati per infortunio, ma torneranno in tempo per partecipare al tour de force che sta per cominciare. Da metà settembre a inizio gennaio, la Juve avrà infatti otto partitissime in campionato (Napoli, Lazio, Inter, il derby con il Toro, Milan, Bologna, Fiorentina e Atalanta) più Psv, Lipsia, Stoccarda, Lilla, Aston Villa e Manchester City in Europa. Affronterà questo ciclo terribile con almeno due opzioni per ruolo. Dai terzini Cambiaso, Cabal e Savona ai centrali Bremer, Gatti e Danilo, più Kalulu come jolly, passando per i centrocampisti Locatelli e Fagioli che insieme sarebbero stati un lusso l’anno scorso per Allegri mentre oggi sulla carta (forse solo lì…) sarebbero le alternative a Douglas e Thuram, fino ad Adzic che è tutto da scoprire, a Koop e al contingente delle ali rinforzato anche dalla new entry Mbangula: Motta ha a disposizione un vero arsenale; al quale s’è aggiunto McKennie, prima epurato e poi reintegrato. Nomi e profili vanno ovviamente testati sul campo, mentre quelli dell’Inter hanno già compiuto il loro rodaggio. Eppure Thiago potrebbe davvero contare, proprio come Inzaghi, su almeno 20 calciatori di movimento intercambiabili e dello stesso livello.

La mentalità: meritocrazia e competitività

«Gioca chi merita», è il mantra di Thiago. Facile, no? In realtà la dinamica è molto più complessa. Il metodo Thiago per far sentire tutti sullo stesso piano è scalfire la forza dei leader affinché il vero riferimento, l’unico realmente riconosciuto, sia l’allenatore. L’ha già fatto in altre piazze. Se, ad esempio, capitan Danilo non è più indispensabile, o è semplicemente indietro di condizione, allora il capitano diventa un altro e il graduato va in panchina. In questo modo si alza il livello della competizione interna. Motta non parla mai di titolari o riserve, anzi rilancia dicendo che «per me non esiste chi gioca e chi non gioca, ma chi gioca e chi giocherà». Ci sono poi le scelte ancora più drastiche, come ha dimostrato la partita degli “epurati”. Senza alzare la voce, senza arrivare allo scontro, ma semplicemente facendosi ascoltare con una leadership calma, il nuovo allenatore ha spiegato ai dirigenti perché Chiesa, Rugani, Djaló, De Sciglio, Nicolussi, Szczesny, Arthur e Kostic non fossero affini alle sue idee. Gli altri li chiama tutti per nome. Non esistono Savona, Gatti, Bremer, Locatelli, Yildiz o Vlahovic, bensì «Nicolò», «Federico», «Gleison», «Manuel», «Kenan» e «Dusan». Sembra una scelta di puro stile comunicativo, è un realtà un meccanismo psicologico fine: rinunciando ai cognomi nei dialoghi (anche all’esterno), Thiago sta abbattendo le barriere tra pari. «La grandezza di Mourinho? Più che convincerti a morire per lui ti convince a morire per il compagno che hai accanto» disse una volta. Ha imparato dai migliori. 

La tattica: il controllo e la difesa

«Vince lo scudetto chi prende meno gol». È una di quelle verità che la Serie A continua a insegnarci puntualmente. E siccome chi ben comincia è di solito a metà dell’opera, la Juve ha iniziato la sua stagione senza subire neppure una rete nelle prime tre partite e impegnando Di Gregorio in appena due parate. Un rendimento così non si vedeva da 10 anni (stagione 2014-15), il primo di Allegri. Da Max Thiago ha ereditato i principi del calcio semplice: controllo fisico sulla partita, protezione della metà campo, libertà espressiva agli interpreti più fantasiosi e capacità di accelerare o addormentare i ritmi della partita a seconda dei momenti. Con il Como e a Verona il controllo del gioco è stato totale: a tratti è sembrato quasi come se la squadra, con una maturità disarmante, decidesse scientemente quando soffrire, quando aspettare e quando colpire. Con la Roma c’è stata la stessa sensazione di invulnerabilità, anche se sono mancati i guizzi offensivi. Il reparto arretrato, comunque, sta trovando una stabilità importante con due centrali arcigni come Bremer e Gatti che stanno imparando a impostare dal basso e con due metronomi (Locatelli e Fagioli) determinanti in fase di non possesso. Se poi a questa corazza aggiungessimo una naturale predisposizione alla costruzione – la Juve è la seconda squadra per numero di passaggi, la prima per precisione e ha il secondo miglior attacco nonostante uno 0-0 – il mix che potrebbe uscir fuori è quanto meno pirotecnico. 

Un abbraccio collettivo al primo giorno di raduno, l’entusiasmo nell’amichevole contro la NextGen e poi, nonostante un pre-campionato deludente, due sold out contro Como e Roma e altri due in arrivo per le sfide a Psv (17 settembre) e Napoli (21 settembre): il pubblico ha sposato il nuovo progetto. I tifosi sono rimasti fedeli ad Allegri fino all’ultimo giorno («Max portaci al Mondiale», scrivevano sugli striscioni), poi hanno affidato la massima fiducia alla coppia Giuntoli-Thiago. Motta ha capito di star vivendo in una luna di miele e non smette di evidenziare quanto bene faccia alla squadra la vicinanza dei sostenitori. Ad alcuni può sembrare remissività adulatoria e scaltra, ma sembra più una sincera richiesta di aiuto vista la giovane età dei calciatori e la tendenza di alcuni a sedersi troppo sugli allori. «Abbiamo bisogno dei nostri tifosi» ha detto l’allenatore in una circostanza. «Questo entusiasmo che respiriamo attorno a noi ci fa bene», ha rincarato la dose in un altro momento. E ancora: «Vogliamo dare gioia e allegria a queste persone». Thiago fa il pompiere per spegnere i voli pindarici dei media e, al tempo stesso, soffia sul fuoco della passione bianconera per farlo divampare. Uno stadio pieno fa la differenza, dopotutto. A proposito: indovinate che fine ha fatto la squadra che nella passata stagione, tra le grandi, ha avuto il tasso di riempimento più alto? Esatto, ha vinto lo scudetto. 


Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/calcio/serie-a

Afena show, Papadopoulos shock: Next Gen ko. Vince il Catania dell’ex Juve

Champions League, le squadre col calendario più (e meno) difficile