Circola una narrazione malefica, eppure qualcuno ci crede: l’Inter vince grazie ai “parametri zero”, quindi bravissimo Inzaghi; la Juve perde malgrado i milioni spesi, perciò scarsissimo Allegri. La discussione è così polarizzata e violenta che diventa quasi inutile rispondere. Tempo perso e fiato sprecato. Ma almeno qui si può provare ad argomentare senza la manipolazione dialettica (tipo monte ingaggi, parametri e dettagli simili), a beneficio di argomenti tecnici, tattici e insomma puramente calcistici. Questa Inter che sta meritatamente dominando il campionato nasce per bravura, opportunismo e – senza offesa – anche casualità. Il caso più clamoroso è Calhanoglu, diventato miglior play a livello internazionale. Eppure, per giocare al posto di Brozovic si era messo in fila. È stato lasciato a lungo mezzala, e prima di lui in regia vennero sperimentati Vecino, Barella e addirittura Gagliardini.
Calhanoglu, effetto sliding doors
La storia è cambiata quando Inzaghi ha dato la regia al Genio Turco in Inter-Barcellona della scorsa Champions League, che per la panchina viene ricordata come partita “sliding doors” tra probabile esonero e futuribile finale. A parte i risultati – sempre oggettivi – le valutazioni su giocatori e allenatori sono spesso soggettive. A volte contraddittorie. Il primo a sperimentare Calhanoglu regista fu addirittura il Milan, nella traumatica sconfitta d’esordio (1-0 a Udine) della breve avventura di Giampaolo allenatore. Poi mezzala per tanti anni e altrettante decisioni tipo quella, di Maldini&Co, di non rinnovargli il contratto. Quello che oggi è “il miglior regista del mondo” (cit Montella), a giugno 2021 veniva scaricato perché chiedeva al Milan quei cinque milioni che poi l’Inter gli dà al volo quando decide – a costo di sanguinose minusvalenze – di liquidare a zero euro sia Joao Mario che Nainggolan. È l’estate in cui l’Inter non si gode lo scudetto perché Conte non vede futuro e sbatte la porta, incassando perfino un’insensata buonuscita. Sono gli stessi giorni bollenti in cui – anche questa è storia – Marotta e Zhang offrono la panchina nerazzurra ad Allegri, prima di andare su Inzaghi. È il calciomercato 2021 in cui Lukaku esce ed entra Dzeko; Hakimi viene venduto e rimpiazzato da Dumfries. E per esempio c’è Federico Dimarco, già ventiquattrenne, che non ha la fiducia nemmeno per essere prima alternativa di Perisic, visto che a gennaio viene acquistato (e ben pagato) Gosens dall’Atalanta. Ieri e l’altro ieri, Dimarco girellava in prestito tra Empoli, Sion, Parma e Verona, perché un anno l’Inter gli aveva preferito perfino il logoro Young dal Manchester United. Oggi non ha rivali sulla fascia sinistra.
Da Madjer a Klinsmann
La storia nerazzurra di quest’anno riporta la memoria a quello che veniva chiamato lo “scudetto dei record”: 1988/89, allenatore Trapattoni, 58 punti quando la vittoria ne valeva due e la Serie A composta da diciotto squadre. Quella Inter aveva preso il fantasista algerino Madjer, detto “il tacco di Allah”, che però non superò le visite mediche. In fretta e furia venne rimpiazzato dall’argentino Diaz, che pure aveva un altro ruolo: rapido e guizzante, spalla ideale per il fisicato Aldo Serena. Coppia perfetta, ma smontata nel giro di qualche mese perché era stato prenotato un altro attaccante, Klinsmann, per rimodellare l’attacco. Per la cronaca, che serva da insegnamento per i narratori di ultima generazione, Jurgen Klinsmann era più giovane, costava molto di più e guadagnava il doppio di Ramon Diaz. Tutti parametri difettati, perché poi la prova tecnica e l’armonia tattica evidenziarono un peggioramento passato alla storia del calcio, non solo interista. La storia è fatta di coincidenze anche fortunate. Non c’è nulla di male, né tolgono qualcosa al merito. Anzi, diventano aneddoti meravigliosi da ricordare.
Gli aneddoti di Marotta
Sfogliando le pagine della memoria, proprio Marotta racconta di fine secolo scorso, quando dirigeva il Venezia e viaggiava in direzione Milano per prendere un centrocampista bravo ma senza fantasia: Federico Giunti dal Milan. Tutto fatto, a parole, ma all’improvviso l’affare salta. In ansia perché rischia di tornare a mani vuote dall’allora irascibile presidente Zamparini, Marotta si salva perché fa uno “stop and go” in autogrill per rispondere a un numero anonimo. Non è un call center: è l’Inter che offre gratis Recoba, basta farlo giocare. Così, anziché un ordinato centrocampista centrale di quantità, il buon Marotta prende un disordinato fantasista di qualità. Il Venezia era ultimo. Alla fine si salva. Con i gol di Recoba e senza il regista che cercava sul mercato. L’Inter di quest’anno è fortissima, ben costruita e benissimo allenata. Ma nasce anche dalle opportunità successive a due tradimenti improvvisi e che sembravano quasi irreparabili. Infatti arrivano il campione del presente (Pavard) e il prospetto del futuro (Bisseck) solo grazie a Skriniar che giocherella con il rinnovo del contratto e la fascia da capitano, salvo poi scegliere Parigi. L’arrivo di Thuram è invece legato a Lukaku, il tradimento che più ha appassionato e avvelenato sotto l’ombrellone (“sotto l’ombrellone” fa molto vintage, proprio come “tradimento” riferito al calcio…).
Thuram, il parametro zero di Ausilio
Il figlio d’arte, Thuram appunto, è una splendida intuizione del direttore sportivo Ausilio, che lo coccola da “parametro zero”, vince il derby dell’ingaggio con il Milan e quindi suggerisce a Inzaghi di trasformarlo da generosa ma sterile seconda punta a centravanti fornitore di assist e gol. Aggiornamento riuscito, oggi. Ma non l’altro ieri, perché durante l’estate l’Inter va a caccia di un attaccante vero e ci prova con tutti: Morata, Scamacca, Balogun, guarda caso Taremi appena preso a parametro zero e perfino Choupo-Moting, fino a pagare dieci milioni al Bologna per il trentaquattrenne Arnautovic. Ricordate qual era il gran colpo del mercato nerazzurro, quello strappato alla concorrenza di Napoli, Roma e Juventus? Sì, Frattesi. Proprio lui. È stato valutato più di 30 milioni ma finora ha giocato – peraltro molto bene – solo pochissime partite da titolare. Andrà all’Europeo e sarà punto di forza in azzurro con Spalletti. Il giocatore c’è, l’investimento anche. Ma non è un “parametro zero”, sta in panchina, rendeva di più quando era allenato da Dionisi, ha un ottimo monte ingaggi personale e tutto il resto. Finisce qui la risposta ragionevole sulla narrazione malevola. Tanto, più che le parole, resta il bello del calcio che si gioca in campo, non su un foglio excel. E per fortuna le squadre non si fanno con l’intelligenza artificiale, né si spiegano con la malafede naturale. Proprio l’Inter ne è la dimostrazione.