Pari in campo e in panchina. La Roma si è presentata a San Siro col quarto allenatore negli ultimi dieci mesi e il Milan, proprio ieri sera, ha pareggiato il conto ringraziando e salutando Fonseca. Da una parte Mourinho, De Rossi, Juric e Ranieri, dall’altra Pioli, Lopetegui (bocciato dai tifosi), Fonseca e ora Conceiçao babbo. Proprietà americane unite da una catasta di errori che hanno condizionato le loro stagioni. Ma se alla fine a Trigoria hanno scelto l’uomo giusto per raddrizzare la baracca e orientare il club, a Milanello continua il caos.
È vero che il punto di San Siro è in realtà un altro mezzo passo indietro per il Milan (la zona Champions è ancora lontana 8 punti) e anche per la Roma che non si schioda dal decimo posto, ma la partita ha detto altro, ha mostrato due squadre che non sembrano in crisi. Piene di difetti, altrimenti non avrebbero quella classifica, però con qualcosa da mostrare, soprattutto la voglia di rilanciarsi. Lo stadio ha di nuovo fischiato il Milan, forse per quel finale boccheggiante, ma nessuno può dire che non ci abbiano provato. Tutt’e due. Altre volte il Milan era stato in difficoltà di gioco, ieri è andato un po’ meglio del solito nonostante assenze pesanti. E poi la squadra è in partenza per l’Arabia, deve giocare la Supercoppa fra pochi giorni, i tempi del licenziamento di Fonseca dimostrano che non sempre i grandi giocatori si trasformano in grandi dirigenti. Nel Milan c’era riuscito Paolo Maldini e lo hanno messo alla porta, con Ibrahimovic sta andando peggio.
La partita era stata divertente per chi ama emozioni e spettacolo. Visto che ogni anno aggiungono una regola nel gioco del calcio, potrebbero metterne un’altra che obbliga le due squadre a mantenere le distanze lunghe. Sì, il lettore ha capito bene, lunghe, non corte. Perché in questo modo, con spazio a disposizione, emerge il talento, si esalta il contropiede, si stabilisce chi è più forte, tecnicamente e fisicamente, nell’uno contro uno. È quanto è successo ieri sera a San Siro, dove la gara ha preso subito uno sviluppo strano per il calcio tattico (e a volte arido perché troppo calcolato) che vediamo spesso in Serie A. Milan e Roma hanno cominciato a darsele (calcisticamente parlando) fin dal primo minuto. Così abbiamo visto la Roma prendere un gol non da Ranieri (contropiede tre contro due e per poco non becca anche il secondo così, appena un minuto dopo) e poi segnare una rete fantastica con Dybala, lasciato solo in mezzo all’area milanista. Sono stati quarantacinque minuti di ritmo, intensità e giocate, una colpo di qua, un colpo di là. Certo, anche gli errori hanno inciso, altrimenti non sarebbero fioccate le occasioni, ma né il Milan, né la Roma sono sembrate in difficoltà.
A Fonseca mancavano i due attaccanti più tecnici, Pulisic e Leao, ma il portoghese non ha frenato la squadra, anche lui aveva bisogno di vincere (ma gli sarebbe bastato per salvare la panchina?). Ranieri ha fatto lo stesso. Immaginiamo che il gol di Reijnders non gli sia andato giù tanto facilmente, però le idee del testaccino sono chiare, si punta su Hummels, Paredes e Dybala, gente che a San Siro può starci da protagonista e così è stato. Ormai sono settimane che Paulo gioca col sorriso sulle labbra, si diverte nella Roma, non ha senso pensare alla Turchia o a qualche altra mèta straniera. Come tanti anni fa disse Trapattoni al suo connazionale Batistuta, che smaniava per lasciare Firenze: «Più boschi giri, più lupi trovi». E Dybala il lupo, anzi, la lupa, ce l’ha già dentro. Il suo gol è stato una gemma, l’ottavo contro il Milan, il secondo in trasferta contro i rossoneri. L’argentino non è stato solo tecnica, ma anche resistenza, anche lotta. È rimasto fino al 94′ perché ora la sua condizione è eccellente. Lo aspetta un derby che promette bene. In tutti i sensi.