Il mestiere di figlio è uno dei più complicati che esistano, troppo spesso si è la proiezione inconscia (o meno) di progetti non realizzati dei propri genitori. Una proiezione che comincia dalla scelta del nome, su cui si incrociano parentele da onorare, mode del momento, eteree ispirazioni. Chiamarsi Comunardo non può essere banale. Era il nome di cui andava fiero Niccolai, uno dei difensori più solidi e, al tempo stesso, più misconosciuti del calcio italiano. Uno passato alla storia per una questione di autoreti. Uno che è stato ben altro. A cominciare dal modo in cui interpretava il ruolo di stopper nel Cagliari che, nel 1970, conquista uno scudetto finora unico e difficilmente ripetibile.
Addio a Niccolai
Niccolai è morto ieri a 77 anni all’ospedale San Jacopo di Pistoia, dove era ricoverato per un malore. Era tornato nella Toscana dove era nato a Uzzano, il 15 dicembre 1946. Un figlio del secondo Dopoguerra, il figlio cui papà Lorenzo – portiere del Livorno, ribattezzato Braciola dai tifosi amaranto – affida un nome potenzialmente pesante. Comunardo è derivazione della Comune di Parigi che, nel 1871 e per un paio di mesi, fu considerato il primo esperimento di autogoverno nella storia contemporanea. Un nome che era manifesto di libertà e, per questo, vietato nel ventennio fascista. Il nome che Lorenzo sceglie per indicare che un’epoca si è chiusa e una nuova ha avuto inizio. «Difficile portarlo? Ma per carità, mi piace da morire, riempie la bocca. Mi piace quando mi chiamano Comunardo», così raccontava a Tuttosport il 21 agosto 1996. Il calcio è la passione che coltiva da bambino, inizia come attaccante nel Montecatini. Si trasferisce alla Torres non ancora 17enne, si trasforma in difensore centrale ed esordisce in C. Deciso, attento, intelligente: il Cagliari lo nota e lo acquista nel 1964. È uno dei tasselli che, anno dopo anno, sono affidati alla cura di Manlio Scopigno in panchina. L’arrivo del tecnico nel 1966 è il passo decisivo per la costruzione di una squadra straordinaria, in cui il leader è Gigi Riva e gli altri sono qualcosa in più che semplici – e splendidi – comprimari.
L’uomo degli autogol
Come Niccolai, per l’appunto. È uno stopper, ma interpreta il ruolo in maniera inedita, al di là della semplice marcatura. Spesso si alterna con il libero (Pierluigi Cera e Giuseppe Tomasini, quando il primo veniva schierato mediano) in una sorta di doppio centrale, da zona che verrà. Una squadra moderna, che vive una sola splendida stagione e che sarà condizionata dai guai fisici di Riva. Niccolai è una certezza – il Cagliari incassa solo 11 reti, record nei campionati a 16 squadre -, ma nella memoria collettiva è identificato come l’uomo degli autogol. Non è nemmeno il primatista: ne ha firmati sei, due in meno di Franco Baresi e Riccardo Ferri. Però è lui il riferimento obbligato, soprattutto quando il gesto autolesionista accade in una circostanza decisiva o implica una certa dose di bellezza. Nel primo caso ricadono quello nel 2-2 di Juventus-Cagliari nell’anno dello scudetto (un anticipo di testa sul primo palo che sorprende Enrico Albertosi) e quello per la 300ª partita arbitrata da Concetto Lo Bello. Nel secondo quello di Bologna, «dove riuscii a fare uno slalom davanti ad Albertosi in uscita e accompagnai la palla in porta».
Il Mondiale del 1970
Una fama che solleva crucci in Niccolai («Almeno ho lasciato un segno nella storia del calcio italiano», si consola), ma non ne mortifica la carriera. Con molti rossoblù fa parte della spedizione al Mondiale messicano del 1970. Il 3 giugno è titolare con la Svezia, esce al 37’ pt per una entrataccia di Kindvall. È la seconda presenza, che racconta un’altra storia. Quella di Scopigno che si alza, spegne la tv ed esclama (ironico e affettuoso): «Visto Niccolai in mondovisione, ho visto tutto». La terza arriverà con la Svizzera in amichevole il 17 ottobre e sarà l’ultima in azzurro. Il Cagliari si spegne dopo lo scudetto, come molti di quella squadra. Niccolai resta fino al 1976, quindi raccoglie una manciata di presenze tra Perugia e Prato. Da allenatore entra negli organici federali, chiamando nelle giovanili futuri talenti come Gigi Buffon e Francesco Totti. Guida l’Italia donne nel 1993-94, poi il congedo dal calcio. «Lascia il ricordo di un grande sportivo, un uomo educato, gentile, rispettoso, cordiale, che sapeva farsi voler bene. Un maestro di calcio e di vita», le parole belle, giuste e commosse del Cagliari.