Quando al 115’ Mohamed Kanno ha messo la palla alle spalle di Rami Hamada, regalando all’Arabia Saudita l’accesso alle semifinali, il sogno sportivo della Palestina si è infranto. Ma non è venuto meno il vero obiettivo. La partecipazione alla Coppa Araba, arrivata battendo la Libia ai rigori, ha permesso infatti alla Nazionale palestinese di portare alla ribalta le ragioni di un popolo martoriato che, nonostante i bombardamenti, le violazioni del cessate il fuoco ed i soprusi dei coloni israeliani, continua a vivere e a cercare spazi di normalità. Dopo aver sfiorato l’accesso ai Mondiali che si disputeranno in Nord America, la Palestina ha avuto a disposizione, adesso, la Coppa Araba per accendere i riflettori sulla crisi umanitaria in corso a Gaza e in Cisgiordania. Ed i risultati l’hanno aiutata. La Coppa, organizzata dalla Uafa, l’unione delle federazioni calcistiche arabe, è in corso di svolgimento in Qatar. La squadra del commissario tecnico Ihab Abu Jazar, uscita ai quarti, ha stupito.
L’impresa nella Coppa Araba
Il successo all’esordio contro la Nazionale padrona di casa, detentrice del titolo, ha scatenato scene di gioia in tutto il territorio palestinese. Espugnare l’Iconic Lusail, lo stadio Nazionale del Qatar, lo stesso dove l’Argentina ha sconfitto la Francia nella finale dei Mondiali di tre anni fa, è stato un qualcosa di indescrivibile. I pareggi con Tunisia e Siria hanno poi alimentato il sogno di entrare fra le prime quattro, svanito appunto ai supplementari contro l’Arabia Saudita dopo che Oday Dabbagh aveva ristabilito l’equilibrio spezzato dal rigore del saudita Firas Al-Buraikan. Ma l’impresa, a quel punto, era già stata compiuta. Il valore della partecipazione alla Coppa Araba lo aveva ben spiegato lo stesso Abu Jazar prima del torneo: la missione della Nazionale è trasformare ogni partita in un atto di resistenza civile, un modo per ricordare al mondo ciò che accade quotidianamente nei territori occupati da Israele. Tanto che aveva dichiarato: «Noi siamo diversi dagli altri perché loro giocano per competere, noi per mandare un messaggio e dare gioia alla nostra gente».
Il ricordo di Obeid
La Coppa Araba è una sfida tra le Nazionali del Medio Oriente e del Nord Africa. La Palestina ha fatto parlare di sé per la qualità tecnica e per il coraggio che i giocatori in maglia bianca con risvolti rossoneroverdi, molti dei quali sotto le bombe hanno perso familiari, amici e parenti, hanno mostrato nel rappresentare la dignità e la speranza di un intero popolo. Il nome di Suleiman Obeid, il Pelé di Gaza, ucciso ad agosto mentre era in fila per il cibo, sta risuonando in questi giorni. Molti lo considerano il giocatore più forte che la Palestina abbia mai avuto, simbolo di calciatori oggi costretti alla diaspora. Dopo l’attacco di Hamas dell’ottobre 2023 e la risposta militare israeliana, difatti, la Pfa, la federcalcio palestinese, ha sospeso i campionati (in Palestina si gioca un torneo in Cisgiordania e uno nella Striscia di Gaza, ndr) e ha inviato la Nazionale in Cile, dove vive la più grande comunità palestinese fuori dal mondo arabo. Lontano dalle bombe, la squadra può allenarsi, diventare competitiva ed usare il calcio come strumento di denuncia e come ponte verso la pace. Non è facile, ma i risultati, al momento, sembrano dare ragione a questa particolare ma anche necessaria scommessa.
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