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A Roma è il passato, alla Juve il futuro: stile Moneyball, ma l’algoritmo divide


TORINO – In Italia gli algoritmi, nel mondo del calcio, sono arrivati da un pezzo. E la Roma ha sicuramente contribuito a fare da apripista. In tanti, sulla sponda giallorossa, ricorderanno il ruolo della Retexo Intelligence, realtà che si occupa di consulenze e strategie per i club. Nel 2020 i Friedkin affidarono a Charles Gould, ceo della società con sede a Los Angeles, la ricerca del nuovo direttore sportivo. La Juve, in questo momento, sta seguendo più o meno lo stesso filone, affidando lo scouting del ds ad un partner esterno incaricato di fornire una short list di candidati a Comolli. Alla fine, a Roma, puntarono su Tiago Pinto. Con fortune alterne: sì, c’è una Conference League in più in bacheca. Sì, c’è un’Europa League sfiorata nella finale contro il Siviglia nel 2023. Ma i giallorossi sono sempre stati troppo lontani dalla zona Champions League, l’obiettivo minimo dichiarato per evitare contorsionismi di natura economica per stare nei paletti del Fair Play Finanziario. Non è andato bene, più in generale, il rapporto tra Tiago Pinto e José Mourinho: nuova generazione di calcio contro vecchia scuola. Esperimento fallito.

Sulle tracce della Roma

Alla Juve il rischio concreto che ci si affacci a questa possibilità esiste: James Gow insidia Marco Ottolini per un ruolo che, inevitabilmente, varcherà anche la zona di operatività di Luciano Spalletti, colui che i giocatori li deve poi schierare in campo. Gestire in settimana, far rendere al meglio in partita, valorizzare per contribuire alla crescita del patrimonio del club. La Roma, sempre a proposito del rapporto con dati e algoritmi nell’era Friedkin, aveva percorso una strada già battuta anche da grandissimi club: Real Madrid, Psg e Barcellona si erano appoggiati a Retexo per alcune consulenze, non strettamente legate alla sfera d’influenza della prima squadra. Retexo e il suo Ceo Gould avevano fornito a Dan e Ryan una lista corposa di profili: Campos, Emenalo, Orta, Boldt, De Jong, Arnesen e Krosche, prima di virare su Tiago Pinto. Lo stesso Gould spiegò, in un’intervista a Record, il metodo sviluppato per scegliere figure apicali dell’area sportiva: «Non puoi contare su una o due persone, quindi ci piace fare affidamento sui dati. Poi parliamo con le persone per vedere se sono ideali per l’organizzazione, perché è diverso lavorare in un club in Italia, Spagna o Inghilterra. L’elemento umano è importante, ma vogliamo parlare solo con persone con un chiaro curriculum di successo in modo che siano i candidati perfetti per i nostri clienti».

Stile Money Ball

Clienti, dunque. Una parte dell’area sport di fatto esternalizzata. Risultato finale? La Roma ha sostanzialmente fatto un passo indietro. Da quando? Dalla scelta di Claudio Ranieri dopo l’infelice parentesi Juric. E in estate, in via definitiva, dalla mossa di virare su Ricky Massara dopo il passo indietro di Florent Ghisolfi. Ma non solo. La Roma in società ha avuto per quasi due anni una figura incaricata dell’analisi dati: Ian Capasso, in carica da dicembre 2022 a giugno 2024. Aveva un vissuto di quasi 7 anni all’Arsenal. Di quella Roma, però, è rimasto poco o niente. La Juve, invece, ha appena iniziato questo processo. L’avvicinamento progressivo ai dati, l’esternalizzazione di alcuni processi legati allo scouting e in generale la fiducia totale nei confronti dei numeri. Primo filtro per la selezione. Il metodo l’aveva spiegato Comolli in passato, in perfetto stile Money Ball: «Il vantaggio dei dati è che se il giocatore numero 1 dice no, andiamo al numero 2, poi al 3. La differenza tra uno e l’altro è minima, perché i dati ci permettono di avere 10-15 profili per ogni posizione. Se durante il colloquio non ci convincono, andiamo oltre». Ha funzionato al Tolosa. Non è andata bene alla Roma, che ha fatto dietrofront. La sfida della Juve, proprio per queste premesse, sarà doppiamente impegnativa.

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