E così se ne è andato anche Aldo. Chissà Gpo, chissà Ormezzano che poesia di 250 righe stipatissime tra ricordi impareggiabili e aforismi fulminanti avrebbe scritto in memoria di Agroppi, se fosse ancora tra noi. A loro modo, cioè in modi diversi, due monumenti di brillantezza, arguzia, intelligenza, profondità, sensibilità. Prima uno e poi l’altro, pochi giorni dopo, ed entrambi profondamente del Toro: due bandiere del Toro, uno in campo, l’altro con la penna. Ieri, 2 gennaio: la mezzanotte era passata da mezz’ora. All’ospedale di Piombino il cuore di Agroppi, che già aveva guardato in faccia a lungo la morte nel 2011, colpito da un infarto, si è infine spento. Il battito sempre più flebile. E il silenzio. In queste ultime settimane la polmonite bilaterale lo aveva grandemente, definitivamente indebolito. Il 14 aprile Aldo aveva compiuto 80 anni. Era ricoverato da un mese, il 5 dicembre lo avevano trasportato in rianimazione a Livorno, poi l’ultimo rientro nella sua città. “Ho conosciuto molte città straniere. Nessuna vale la mia Piombino. Siamo appoggiati su una collina e da quassù tutto è pace. Qui sono nato, qui serenamente morirò”. Oppure: “Cercavo, volevo il mio posto della vecchiaia. Ho scelto che la mia seconda vita, quella anonima, fuori dai riflettori, dalla fama, si consumasse nell’adorata Piombino. Dopo tanto peregrinare, la sensazione della vita che ritorna. I vecchi amici che mi amano, anche se la mia pelle non è sempre liscia”. E ancora: “Venite a casa mia e forse mi conoscerete per quello che sono. Però se metterete la fede calcistica nelle vostre uniche considerazioni, fermatevi a dieci o anche a venti metri dalla mia abitazione. Se piacessi a tutti, mi chiamerei Nutella”.
“Più istinto che testa. È il mio carattere”
Invece il suo soprannome era Cotenna. Questi messaggi che avete appena letto sono riflessioni intime che Aldo aveva inviato via whatsapp poco più di un mese fa alla moglie di Angelo Cereser, la signora Lorenza, con cui da tanto tempo aveva cominciato un carteggio profondo nei concetti e poeticamente raffinato. Lo sapete: Angelo e Aldo, compagni assieme nel Toro per una vita, erano anche profondamente amici, da una vita. E da una vita erano profondamente amiche anche le famiglie. Le mogli, i figli. Lorenza e un altro amico di Agroppi, Franco Carena, erano riusciti a convincere Aldo a creare uno zibaldone con quei componimenti poetici a sfondo esistenziale. Franco ne aveva realizzato un libro un anno fa, un bel po’ di copie, che poi Aldo aveva regalato agli amici veri. Lo avevamo presentato, ne avevamo parlato su Tuttosport ad aprile: la sua ultima intervista qui, il giorno dell’80° compleanno. Ci aveva detto: “Ho affrontato la vita a muso duro, come cantava Pierangelo Bertoli. Nella vita sono andato avanti più con l’istinto che col ragionamento e tante volte l’ho pagata. Ma il mio carattere è questo”. La sua inesauribile vis polemica, l’antijuventinismo per definizione (che poi gli fece perdere anche importanti palcoscenici da commentatore in tv), ma anche quella faccia invisibile della Luna che Aldo portava nell’anima come un fiume carsico: la depressione che lo colpì in specie durante gli anni da allenatore, minandone la carriera nonostante i successi ottenuti a Pisa, Perugia, Firenze (ma anche feroci contrapposizioni, in viola).
“Giocare contro la Juve era bellissimo”
Ci diceva ieri la signora Lorenza: “Suo fratello Nilio morì di leucemia a 22 anni, ma da giovane Aldo perse prematuramente anche entrambi i genitori. Di cancro. Certi dolori si attorcigliano nell’anima terribilmente, nel corso di una vita”. Ha assolutamente ragione, pensiamo. “Mamma mia come s’è fatto alla svelta!”, ci aveva detto l’ultima volta. “Invecchiare è stato un attimo. Scrivere è il mio passatempo. Ne sto già scrivendo un altro, di libro. Sono quadretti sulla mia vita e sulla vita di tutti. Butto giù ciò che mi esce dal cuore. Quando giocavo, abitavo in Lungo Dora Voghera. Praticamente sotto Superga. Dal mio piano c’era una vista meravigliosa sulla basilica. Tutte le mattine era come dire una preghiera per il Grande Torino. E poi andavo ad allenarmi al Fila. Resto felicissimo di aver combattuto per un ideale. Ben contento di non essere andato altrove. E giocare contro la Juve era bellissimo. Un desiderio fortissimo, perché non ci siamo mai sentiti inferiori ed era meraviglioso sfidarli e vincere. Una festa ogni anno. E se non fosse morto, con Meroni avremmo vinto lo scudetto. L’avremmo vinto pure nel ‘72 se non mi avessero annullato quel gol a Marassi, quando Lippi la respinse oltre la linea. Lo ammise pure l’arbitro Barbaresco in due interviste che conservo. Lippi è anziano come me, ormai potrebbe ammetterlo, su. Siamo vecchi tutti e due. Non è più tempo di fare polemiche. Anzi, gli auguro ogni bene, sinceramente. Se gli facesse piacere, sarei anche pronto ad andare a casa sua a stringergli la mano. Alla nostra età, l’ultimo chilometro prima del traguardo, basta litigi”.
Agroppi sotto l’ala di Ferrini
Era di Piombino come un altro suo compagno e amico, Lido Vieri. E anche Lido lo aveva consigliato al Torino, difatti. Preso per il vivaio, poi prestato per diversi anni. Tornò a casa nel 1967. L’esordio sotto l’ala di Giorgio Ferrini, che Aldo ha sempre considerato come un “secondo padre!: gliel’ho avrà già ripetuto anche in cielo, ora. Chissà che abbraccio anche con Gigi Meroni. Aldo esordì il 15 ottobre: poche ore dopo, la morte della Farfalla Granata. Centrocampista dotato di grandi polmoni, coraggio e tecnica, un incursore a tutto campo, un po’ mediano e un po’ mezzala, sempre vulcanicamente tremendista come la sua lingua, fu una colonna del Toro sino al 1975. Due Coppe Italia vinte, nel ’68 e nel ’71, con 212 presenze in campionato e 15 gol, fino a conquistare anche la Nazionale, e a rimanerci, 5 volte. Nel libro dei ricordi di un altro monumento granata in cielo, Beppe Bonetto, il segretario generale e braccio destro di Pianelli sottolinea la “dialettica” speciale con cui Aldo nell’estate del ’67 gli manifestò tutto il suo amore per il Toro e la sua voglia di giocare finalmente in prima squadra, ma anche il dolore profondo di Aldo per la cessione nel ’75 al Perugia, un anno prima di quello scudetto che Cotenna aveva già meritato di vincere. Anche grazie a quel suo infinitamente adorato gol vittoria segnato proprio alla Juve, nel marzo ‘72.
Elvis il suo mito
Quando andammo la prima volta a casa sua, affacciata sul mare di Piombino, ancora nell’altro secolo (un privilegio poi ripetuto), ci disse: “Comunque sia, quello scudetto del ’76 lo vinsi anch’io e questa soddisfazione la proverò sino all’ultimo dei miei giorni. All’ultima giornata c’era Perugia-Juve. Io ero infortunato, ma caricai i compagni come se fosse la finale della Coppa del Mondo. Li pregai di giocare anche per me. E vinsero. E così il mio Toro fu campione”. Eravamo in piedi nella sua tavernetta tra la collezione di dischi Anni 60, oltre diecimila. Elvis era il suo mito. “Guardagli bene gli occhi. Era fragilissimo anche lui. Anche i miei occhi ogni tanto diventano fragili”. Si era raccontato in più libri, da ‘A gamba tesa – Frustate e qualche carezza’ a ‘Non so parlare sottovoce – Una vita in contropiede’. A cavallo della letteratura sportiva e della vena granata, anche l’amicizia coltivata con il Toro Club Lunigiana di Pontremoli del presidente Giorgio Gerali, al fianco del premio Bancarella Sport. Aldo Agroppi è stato il Toro, ha seminato Toro per tutta la vita in campo e nelle parole, nelle chilometriche interviste sentimentali tra ricordi enormi, carezze e invettive nella speranza da decenni e decenni di un Toro migliore, vero.
Sotto la Cotenna l’ala di una farfalla
Mille frasi d’amore pronunciate col sangue granata nelle vene: da scriverci un giornale intero. Ne scegliamo una, questa: “Solo la maglia del Toro poteva regalarmi l’onore di indossare la mitologia”. Nelle sue ultime composizioni, per sua moglie Nadia aveva scritto: “Il primo bacio d’amore che ho dato in vita mia l’ho donato a lei, alla bimba mia. Eravamo due ragazzini di 16 e 14 anni che si piacevano con sguardi spontanei. Notti insonni: preparavo schemi per po ter arrivare a vivere quel primo bacio desiderato!”. Poi, complice la voce di Peppino di Capri da un jukebox, bacio fu: e per sempre. “E le luci del porticciolo illuminarono i nostri volti felici”. Nacquero i figli Nilio e Barbara e poi gli splendidi nipotini di Aldo e Nadia, che lui chiamava affettuosamente “pentolini”. L’abbraccio di tutto un popolo avvolga la grande famiglia di Aldo. Sotto la Cotenna l’ala di una farfalla, un grande cuore generoso e sensibile. La verità che Aldo ha percorso per tutta la sua vita, anche prendendosi a morsi, era questa.