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Antonio Avati e la passione per il Bologna: “Italiano, mi perdoni”

Non avendo purtroppo più mio padre, avevo uno zio che in fatto di calcio lo ha “sostituito”: mi ha portato allo stadio la prima volta, avevo 5 o 6 anni e ho perso la testa. Non era il certo il Bologna che venne dopo, quello di Bernardini. Aveva tifosi intenditori, molto esperti e pochi giovani. L’avversario forse era l’Atalanta, ricordo che ci fu l’espulsione di un calciatore, Rota, un terzino, e lì capii che l’arbitro aveva il potere di interrompere la partita e di sbattere fuori un giocatore. Lo stadio era il mio divertimento più grande. A quei tempi già a dieci anni ci si andava da soli. Io avevo le mie 400 lire, quattro monete da cento, per entrare in curva. Le tenevo da parte dal lunedì alla domenica. Oggi, alla mia età, sono malato: dopo il cinema che sta al primo posto delle priorità viene il calcio“.

Come si spiega suo fratello Pupi, più grande di lei, milanista?

A Pupi non interessava nulla del calcio, faceva musica, pensava ad altro. Nell’anno dello scudetto del 1964 (l’ultimo, ndr) però c’era fermento, si andava a vedere gli allenamenti in pomeriggi straordinariamente liberi. Altro che compiti, io non studiavo mai, lo costrinsi ad accompagnarmi. Era il Bologna di Pascutti, di Bulgarelli, e anche Pupi perse la testa, per campanilismo e amore per la città, senza capirne niente, tanto che se gli chiedevo il ruolo di Pavinato non lo conosceva. E’ diventato milanista tardi, per amore del nipote Lorenzo che si innamorò di Pippo Inzaghi, conosciuto grazie a un amico di Diego Abatantuono“.

Un film sul Bologna lo farebbe?

L’ho fatto sul calcio non sul Bologna. “Ultimo minuto” (del 1987, scritto con Pupi, Italo Cucci e Michele Plastino, ndr), con Ugo Tognazzi, un film riuscito ma non andò benissimo. Anticipava tante cose. Durante la distribuzione de “L’orto americano”, Farinelli organizza una mini rassegna dei nostri film degli anni ’80, in onore di Pupi e mio, e sarà proiettato anche “Ultimo minuto”, al cinema Modernissimo di Bologna“.

Pupi e Antonio, una vita condivisa. Ci racconti quei due…

Io forse sono meno impedito fisicamente, ma lui di testa è più sveglio, ha la mente lucida, fresca. Io e Pupi litighiamo, mai in modo troppo aspro, poi facciamo la pace, fa parte delle regole del gioco“.

Come nasce un vostro film?

Prima facevamo le classiche riunioni, si parlava, si discuteva. Pupi raccoglieva le idee e metteva in bella copia. Poi lui è diventato autobiografico, fedele agli eventi e quando è così non puoi metterti al suo posto. A Pupi piace molto realizzare una sceneggiatura da un testo letterario che la precede, anche L’orto americano è un romanzo“.

Qual è il suo cinema preferito?

Per motivi di follia personale mi piacevano le cose surreali. Allen, Brooks, il Free cinema inglese, Lester. Mi sono divertito a scrivere film che sono stati grossi flop e di cui sono innamorato: “Tutti defunti… tranne i morti”, “Bordella” film assolutamente pazzo e visto da pochi. Ero me stesso in quelle cose lì. Ero più sbarazzino, spiritoso, lavoravo alla sceneggiatura“.

Eredi Avati che incalzano ce ne sono?

Come sceneggiatore sta crescendo il figlio di Pupi, Tommaso. I miei figli sono una gioia fantastica, hanno 24 e 25 anni e per ora non hanno nessuna intenzione di lavorare nel cinema. D’altra parte mi vedono più soffrire che gioire, certe sere sono talmente complicate… Nemmeno ho “visibilità”, cioè non sono esposto mediaticamente, insomma non mi fermano per strada, quello che invece succede a Pupi. Sono contento per lui, è come se succedesse a me“.

Nessuna invidia o gelosia, nessuna ombra ma luce. I fratelli Avati sono… figlio unico. 
Ho vissuto una vita dietro le quinte. Ero bello, volevo fare l’attore. No, non mi dispiace aver fatto altro. Se rinasco però voglio essere un giornalista sportivo“.



Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/calcio/serie-a


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