“Il problema alla base dell’attuale giustizia sportiva italiana è che sembra che qual cuno abbia fatto la scelta di asserragliarsi in un bunker». Mauro Berruto, già commissario tecnico della nazionale di pallavolo maschile italiana, denuncia da tempo l’inazione sul tema. Quanto al parere reso ieri dall’avvocato generale, che del resto potrebbe anche essere ribaltato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europa, preferisce non entrare nel merito, ma, nella sua veste di deputato del Partito Democratico, ha da tempo lanciato allarmi e denunce – facendo arrabbiare in molti, dal Coni alla Figc -, non ché chiesto un’indagine cono scitiva. Per ora, è bloccata dalle lungaggini parlamentari: «Non parte mai – continua Berruto -. Da luglio aspettiamo il pre sidente del Coni per conosce re le sue linee guida: ho solle citato sette-otto volte in ufficio di presidenza, ma niente». Che qualcosa si debba fare lo sanno tutti, compreso il ministro per lo Sport e per i Giovani, Andrea Abodi che, con lo stesso Luciano Buonfiglio (numero uno del Coni) e la regia del Mef, Giancarlo Giorgetti, ha promosso la costituzione di una commissione per la riforma della giustizia sportiva.
Berrutto: “Non si sa niente”
I lavori sono iniziati a settembre con l’insediamento: a oltre quattro mesi dalla prima riunione, la commissione è im pantanata, quantomeno non se ne hanno notizie oltre le slides iniziali. «Non si sa niente, non produce nulla – prosegue Berruto -, non ci sono informazio ni e quello che doveva essere un percorso di trasparenza e apertura è divenuto sem pre di più una chiusura su se stessi che è contro ogni logi ca, contro ogni tempo, con tro ogni possibilità di trovare soluzioni che siano condivise. Mi devo ripetere: mi sembra di poter dire che abbiano fat to una scelta, ovvero quella di chiudersi in un bunker. Ne valuteranno le conseguenze, ma nessuno si stupisca se poi arriva lo tsunami». In ambienti Figc, non giudicano tale il parere arrivato ieri dal Lussemburgo, che non vincola – la stessa sentenza sulla Superlega ne è la prova – ma potrebbe indirizzare la pronuncia finale della Corte. Nelle 19 pagine di conclusioni di Dean Spielmann, in effetti, la giustizia sportiva endofederale, cioè Tribunale Federale Na zionale e Corte Federale d’Appello, non ne esce con le ossa rotte: c’è anzitutto un esplicito apprezzamento per gli articoli del codice di giustizia sportiva dedicati all’applicazione delle sanzioni.
L’esigenza di tempi rapidi
E c’è anche il riconoscimento che l’esigenza di avere certezze sui tempi rapidi per non inficiare la regolarità dei campionati – il grande tema che, anche per la Corte Costituzionale, giustifica le limitazioni imposte alla piena cognizione del giudice amministrativo – sia legittima. Soprattutto, l’avvocato generale ha lasciato la valutazione al giudice del rinvio, cioè al Tar Lazio. Certo, in altri passaggi il processo di nomina dei giudici sportivi, da parte del Consiglio Federale, è messo in dubbio quanto alle pressioni che potrebbero ricevere nel corso del loro mandato e del suo esercizio. Ma, se Spielmann avesse ritenuto il sistema di giustizia sportiva italiana palesemente in contrasto con il diritto unionale, è il ragiona mento che fanno dalle parti di via Allegri, lo avrebbe detto in modo chiaro. Così non è stato, e la partita resta invece decisamente aperta, peraltro a un tavolo sul quale sia il pre sidente Gabriele Gravina che il responsabile dell’ufficio le gislativo federale, l’avvocato Giancarlo Viglione, ritengono di avere carte più che valide in mano da potersi giocare. Il parere di ieri, almeno nei tempi, fa più male al progetto di riforma del governo che, dopo aver messo il capello sul controllo dei conti di calcio e basket – in disponendo entrambe le federazioni e, soprattutto, i rispettivi club per l’aumento esponenziale dei costi -, conta di intervenire anche sulla giustizia, o almeno sa di doverlo fare, ma rischia, per usare le parole di Berruto, di essere preso con trotempo dallo tsunami.
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