Qualche mese fa, le lacrime per il suo primo titolo da allenatore con le giovanili del Melbourne. Se guarda avanti di 20 anni, che tecnico spera di diventare? “Ero fantasista in campo, conto di poterlo essere anche in panchina. Quando ho intrapreso questo percorso nessuno è rimasto sorpreso. I miei compagni si lamentavano scherzosamente perché davo continuamente indicazioni. “Alino, ma quand’è che la smetti di allenarci?!”. Gli rompevo le scatole. Dopo il ritiro, ho avuto subito la possibilità di gestire delle prime squadre, ma ho preferito incominciare dalle Under 23. C’era da capire se fossi portato per una carica del genere, se mi piaceva… Una scelta che, a posteriori, rifarei perché questi tre anni si sono rivelati fondamentali per la mia crescita: ho capito chi voglio diventare. Ad oggi mi limito a definirmi un tecnico curioso, in evoluzione, che rivendica principi non negoziabili”.
Guardiola e il City Group
Quali sono? “I ragazzi devono dimostrarmi il giusto atteggiamento e una passione smisurata per questo sport. Gli aspetti tecnico-tattici vengono dopo”.
In passato ha detto di non ispirarsi a un tecnico in particolare, ma di aver assorbito un po’ da tutti, a cominciare da Bisoli, Prandelli e Lippi… Oggi ce n’è uno che la intriga più degli altri e che magari studia? “Ho avuto la fortuna di crescere in una galassia ambiziosa come quella del City Group, quinti direi Guardiola. Hanno una filosofia ganza, belle idee, che però – ripeto – non posso prescindere dai valori con cui sono cresciuti i calciatori della mia generazione. Purtroppo oggi nessuno le insegna più queste cose”.
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