Figlio dell’olimpionico di scherma Giuseppe Mangiarotti, Mario, terzo di tre fratelli, era l’ultimo ancora in vita della dinastia di campioni che ha riempito l’Italia di successi nella scherma. Se Dario e, soprattutto, Edoardo (cui recentemente il Coni ha intitolato la celebre Casa delle Armi, a Roma) rappresentano ancora oggi due eccellenze di riferimento della scherma mondiale, Mario seppe andare oltre lo sport, accompagnandolo alle medaglie, i suoi successi da cardiologo all’ avanguardia e dirigente sportivo. Nel 2014 aveva consegnato a L’Eco di Bergamo alcuni preziosi frammenti della sua infanzia: “I primi ricordi delle mie domeniche riguardano lo sport: mio padre si era preso l’impegno di fare lottare me ed Edoardo, in quanto vedeva il combattimento come insegnamento. Così, quando eravamo bambini, io e mio fratello trascorrevamo le domeniche mattina a darcele di santa ragione, dando vita a veri e propri incontri di boxe, in casa ma anche in pubblico: Edoardo aveva un anno in più di me, ma fino ai dieci anni ero io il più forte. Nel ’32 partecipammo alla prima gara di scherma giovanile, a Cremona, e ci prendemmo i primi due posti, iniziando di fatto la nostra carriera sportiva. Alla domenica, spesso, eravamo impegnati in gara e quando non era così eravamo con papà al seguito di altre manifestazioni. Non si riposava mai del tutto, ma si staccava dalle fatiche settimanali, fatte di scuola e lezioni di piano: essendo il più dotato in campo musicale, mi sorbivo cinque ore di insegnamento ogni pomeriggio, mentre i miei fratelli correvano o giocavano a calcio. Le poche volte che eravamo liberi, alla domenica, ci concedevamo una camminata o un lungo giro in bicicletta nelle campagne della Brianza”.
Scampoli di un’epoca che ormai non c’è più, ma che ha consegnato all’Italia un patrimonio sportivo, che nel ricordo del nome della dinastia Mangiarotti resterà vivo per sempre. Sulla sua maschera, e non solo, un motto: “Mai Morto”.
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