Juventus e Ibrahimovic
Altezza è mezza bellezza dice il proverbio. Ma fino a che punto può essere considerato veritiero? Antonio Nocerino non è nato gigante, però è riuscito a diventarlo grazie al sacrificio e alla compagnie giuste. Napoli è un rimpianto, la Juve anche, il Milan è stato il posto in cui il centrocampista è diventato grande. Palla in avanti, sponda di Ibrahimovic all’indietro e assist per Nocerino che mette in porta: è stato uno dei leitmotiv della stagione 2011-12, quella dello scudetto perso sul più bello dopo il gol non assegnato a Muntari davanti a un Conte comunque fenomenale all’epoca sulla panchina bianconera. Nell’estate 2012 la sorte ha remato contro Antonio anche agli Europei: la Nazionale del ct Cesare Prandelli è stata sconfitta dalla Spagna in finale, dopo la doppietta di Balotelli alla Germania in semifinale. Nocerino però non guarda solo al passato. Nel suo futuro c’è ancora il calcio e il sogno di diventare allenatore.
Antonio, che cosa sta facendo in questo momento della sua vita?
Ho finito il corso per il patentino Uefa B e sono tornato in America, vivo qui da 4 anni e aspetto che si muova qualcosa. Ho ancora voglia di calcio per qualche anno perché mi sento bene sia fisicamente che mentalmente. Mi sento in condizione e penso di poter giocare ancora per un po’. Poi mi piacerebbe provare ad allenare e intraprendere una nuova carriera, cominciando dai ragazzini. Vorrei capire se sono capace di farlo oppure no.
Che cosa ha trovato in America?
Sono venuto a giocare a Orlando perché c’era Kakà. A un certo punto della vita devi farti delle domande: io ho sempre cercato di scegliere pensando all’aspetto umano prima di ogni altra cosa, il fattore calcistico ha contato sempre in un secondo momento. Purtroppo nelle ultime mie avventure in Italia questa cosa è venuta a mancare e allora ho deciso di andarmene in America facendo una scelta totalmente diversa.
Come vede il calcio italiano di oggi?
Negli ultimi due anni ha recuperato un po’ di appeal con l’arrivo di Ronaldo, di Ribery e di Lukaku. Adesso questi giocatori sono attratti dal campionato italiano. Penso che questa cosa ci faccia ben sperare per il futuro. Anche gli allenatori italiani che erano all’estero sono tornati. Tutto questo è positivo per il campionato italiano.
Lei ha il rimpianto per non aver mai giocato nel Napoli?
Ce l’ho, era la cosa che desideravo di più. Forse è il più grande rammarico della mia carriera. Ci sono stato vicino quando giocavo in Serie B a Piacenza, poi però non se ne fece nulla. Non mi lamento della carriera che ho fatto, ma se devo trovare qualcosa che mi è mancato dico giocare a Napoli. Mi avrebbe permesso di realizzare tutti i miei sogni.
(Photo by New Press/Getty Images)
Lei è stato alla Juve: in che momento della sua carriera è arrivata?
Mi porto dietro una grande esperienza, ho conosciuto giocatori fenomenali a livello umano e calcistico. È stato molto positivo. Se devo trovare il pelo nell’uovo dico che avrei preferito che all’epoca ci fosse stata la società di oggi. Se avessi lavorato con loro, forse poi non avrei iniziato a girare come una trottola e mi sarei stabilito a Torino.
Che aria si respirava in quella squadra?
Era una squadra che piano piano stava prendendo forma a livello di organico. La mentalità invece c’è sempre stata: quella, la voglia di riscatto e la programmazione hanno fatto sì che negli ultimi 8 anni siano arrivati altrettanti scudetti.
(Photo by Claudio Villa/Getty Images)
Se le dico Milan che cosa le viene in mente?
Mi ha cambiato e mi ha fatto conoscere a livello mondiale. Per me il Milan è speciale. Quando sono arrivato ero l’ultima ruota del carro. Il Milan ha dato tantissimo perché mi sono sempre comportato in un certo modo. Ho sempre avuto rispetto di tutti e la gente mi ha voluto bene per questo. Calcisticamente mi sono divertito a giocare con quei fenomeni: per me il Milan è una famiglia.
Che ricordo ha di Ibrahimovic? Come si è creata la sintonia con lui?
Il primo approccio con Ibra è stata un’entrata in allenamento: mi ha fatto fare un volo di 5-6 metri. Lí ho capito che aria tirava. Dovevi pedalare e andare a 2000 ad ogni allenamento. Il rapporto con Ibra è stato spontaneo: lui è molto tranquillo e serio. È l’opposto di ciò che la gente dice. Ibra è una persona che scherza quando è il momento di ridere, ma vuole che tu in campo vada a mille. Ibra vuole vincere sempre. C’era tanto rispetto tra me e lui, non penso che sia nato un feeling particolare. Al Milan ho sfruttato le caratteristiche dei miei compagni: oltre ad Ibra c’erano anche altri giocatori importanti come Robinho, Boateng e Cassano. Giocare coi campioni rende tutto più facile.
(Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)
Nel 2011-12 lei è andato in doppia cifra: rammarico per aver perso lo scudetto?
Ce l’ho, però quando non vinci significa che non lo meriti. Col senno di poi ripenso alla famosa partita con la Juve: se il gol di Muntari fosse stato convalidato, forse sarebbe finito tutto lì. Se ci fosse stata la Var il gol sarebbe stato gol, ma coi ‘se’ e coi ‘ma’ non si va lontano. Pazienza, è acqua passata. Poi anche la Var ogni tanto commette degli errori.
Come vede Conte all’Inter?
Conte è un fenomeno, è uno degli allenatori più bravi che ci sono in circolazione. Ricordiamoci a che punto era la Juve prima di lui: Conte l’ha ribaltata. Poi per 2-3 anni dopo il suo addio la squadra ha giocato col pilota automatico e per Allegri è stato tutto più semplice. I giocatori avevano una mentalità incredibile e andavano praticamente da soli. Per un po’ di anni la Juve ha continuato a giocare portando avanti le idee di Conte. Anche con Allegri ha giocato spesso col 3-5-2 e andava tutto a meraviglia: la Juve era bella da vedere e giocava a memoria. Era una squadra aggressiva e cattiva. Non si vincono così tanti scudetti per caso. È stato merito della mentalità che Conte le ha dato.