E’ stato quasi un anno da Triplete per Sergio Scariolo. L’allenatore di pallacanestro italiano ha primato trionfato in NBA da vice-allenatore dei Toronto Raptors, poi ha guidato la nazionale spagnola alla vittoria del campionato del mondo, battendo in finale l’Argentina per 95-75.
Noto tifoso nerazzurro, si è concesso ai microfoni di AS in vista della super sfida in programma domani sera al Camp Nou tra Barcellona e Inter: ”L’Inter è una di quelle poche cose in cui emozione e passione si sovrappongono completamente al razionale”.
La passione per i colori nerazzurri: ”Quando ho iniziato a seguire il calcio era il periodo de ‘La Grande Inter’. Quella squadra che ha vinto due coppe europee e perso un’altra finale. In effetti, questo è il primo vero ricordo che ho: la finale che abbiamo perso contro il Celtic Glasgow e un campionato che abbiamo perso, penso nel 1967 l’ultimo giorno con la Juventus. Avevo sei anni. Sono i primi ricordi chiari. Se avevo magliette da piccolo? Sì. All’inizio me le hanno regalate i miei genitori e zii. Ho sempre avuto una maglia dell’Inter. Poi il club ha iniziato a regalarmele. Ne ho già alcune firmate, molte anche con il mio nome”.
La fede nerazzurra: ”Non ho mai avuto la tentazione o il dubbio di dover cambiare squadra! E ne abbiamo perso di partite, così come ne abbiamo avute di stagioni tristi…”
Il ritorno della semifinale del 2010: ”La ricordo perché ero lì. Avevo la sensazione che il castello sarebbe caduto in qualsiasi momento. E beh, davvero, al fischio finale quello che ho fatto è stato allontanarmi dalla scena del crimine il più presto possibile”.
Il paragone con i grandi allenatori dell’Inter: ”Penso che ogni persona si identifichi con se stesso. Ovviamente, ho adorato Helenio Herrera e ammiro Mourinho. Ma francamente, ognuno ha la propria identità, i propri punti di forza e di debolezza. È molto difficile che, con tanta esperienza alle spalle, qualsiasi allenatore possa identificarsi completamente”.
La grande stella Luis Suarez: ‘‘Ti dirò una cosa. Luis Suarez è stato l’unico che mi ha tentato di chiedere un autografo. L’ho incontrato all’aeroporto, all’epoca era un osservatore dell’Inter. Ero così entusiasta di vederlo … Non l’ho fatto, ma ho sentito l’impulso di chiedere un autografo. Luis Suarez è un mito dell’Inter. Un giocatore con un’intelligenza eccezionale e un fantastico personaggio vincente”.
Da Suarez al… Fenomeno: ‘‘E’ stato un periodo molto intenso. Breve perché sicuramente poteva rimanere più a lungo ma Madrid ha chiamato ed è dovuto partire. Ma, naturalmente, era un giocatore con una forza fisica impressionante, una classe cristallina e un importante istinto vincente”.
L’idolo di sempre: ”Mazzola. Dall’infanzia fino ad oggi. Ma ci sono stati altri grandi giocatori all’Inter. Con alcuni ho anche stretto amicizia come Altobelli, idolo e campione del mondo nel 1982, e Nicola Berti, secondo classificato nel 1994. Anche con Pagliuca … Ma il mio giocatore preferito e il mio idolo è Mazzola”.
La proprietà Suning: ”Devi essere pragmatico. La famiglia Moratti non ha potuto continuare a mantenere una squadra competitiva e penso che siamo stati fortunati a far entrare i Suning Zhang. Direi che l’Inter è in buone mani”.
L’arrivo di Conte: ”Non lo conosco personalmente. Penso che sia un grande leader. Uno con idee molto chiare e un allenatore che ha la capacità di adattare la sua visione del calcio al materiale umano che ha a disposizione. Allo stesso tempo, ha la possibilità di scegliere giocatori che possano adattarsi in modo efficace e piacevole. Mi dà un’ottima impressione”.
L’incontro con Facchetti: ”Era una persona di classe e di straordinaria eleganza. Un’altra persona ‘scioccante’ che ho incontrato è Javier Zanetti. L’ho incontrata quando ero a Milano e penso che incarni i valori di una grande atleta”.
Cosa è l’Inter: ‘‘La definizione dell’Inter è Pazza Inter, una squadra pazza. Ma quest’anno l’inno degli ultimi quindici anni è stato rimosso. Non suonerà più. Conte l’ha deciso. È una cosa curiosa, la capisco come allenatore. Perché identificarsi con una squadra pazza? Non è ciò che un allenatore vuole, ognuno vuole che la propria squadra giochi in modo razionale. Ma da tifoso è un peccato. Era un inno in cui tutti si riconoscevano”.