Merita un caloroso elogio il tempismo di Andrea Agnelli. Alla vigilia della prima sfida di Antonio Conte in campionato, cinque anni dopo la sua traumatica separazione della Juve, per celebrare le imprese dell’ex capitano e ed ex allenatore. Ai deboli di memoria e ai poveri di spirito, il Primo Bianconero ricorda che la storia non si tocca e Conte merita il massimo rispetto. Parafrasando Pascal, il cuore ha le sue ragioni che anche la ragione conosce. Come i meriti di Conte in bianconero. Da giocatore: 419 presenze e 44 gol; 1 Champions League, 1 Coppa Uefa, 1 Intertoto, 5 scudetti, 1 Coppa Italia; 4 Supercoppe italiane. Da allenatore: 3 scudetti e 2 Supercoppe italiane. Andrea Agnelli si è insediato alla presidenza della Juve il 19 maggio 2010: un anno più tardi, la sfortunata gestione di Luigi Del Neri culmina nel settimo posto che porta la squadra fuori dall’Europa, gettando milioni di tifosi nello scoramento e in uno stato di profonda frustrazione. E’ allora che Agnelli imprime la svolta: sceglie Conte e la storia cambia.
Il primo, incontrovertibile merito del tecnico salentino è risvegliare l’orgoglio, il senso di appartenenza, l’attaccamento alla maglia. Dei giocatori e della tifoseria. Poi, arrivano i tre scudetti di fila, scanditi da numeri eclatanti: il tricolore del 2011-2012, vinto da imbattuti (23 vittorie e 15 pareggi), exploit che nella storia del campionato a girone unico ha due precedenti, firmati dal Perugia di Ilario Castagner nel ’79 e dal Milan di Fabio Capello nel ’92; il titolo del 2013-2014, conquistato con i 102 punti che stabiliscono un primato assoluto. Dicono che la memoria sia una virtù poco coltivata, nello sport come nella vita. E’ per questo che la presa di posizione di Agnelli contro il revisionismo anti-contiano assume un significativo valore. Proprio prima di questa Inter-Juve. Proprio prima di rivedere negli inusitati panni di rivale interista, l’uomo che ha dato un contributo determinante all’apertura di un ciclo scudettato senza precedenti. Allo Stadium, la stella di Conte rimanga dov’è, com’è giusto che sia. E’ una questione di rispetto, di merito, di storia che non si tocca e non si cancella. Un altro calcio è possibile se si ricomincia a dare valore a chi il valore l’ha mostrato, sul campo e in panchina. Se si riparte da una cultura sportiva che chiami avversario, non nemico né tantomeno traditore, chi un tempo era dalla stessa parte del campo.