Pantaleo Corvino, 70 anni ieri l’altro, in silenzio da sei mesi dopo una carriera lunghissima: 600 partite in A, 54 gare tra Champions ed Europa League con appena 8 sconfitte, 13 titoli italiani a livello giovanile. Pronto a rientrare o è passata la voglia?
«Fammi fare una piccola aggiunta: hai dimenticato i tre campionati di B con tre promozioni. E comunque voglio ancora un bene da matti al mio lavoro, non sono stanco, assolutamente. Ho tanta energia e tanta voglia di fare. Tutte le mattine mia moglie mi sveglia, mi prepara il caffè e io sono pronto a scattare. Il giorno che dovessi girarmi dall’altra parte, per dormire un altro po’, mi accorgerei di non avere più la stessa voglia. Ma non è così».
Direttori sportivi si nasce o si diventa?
«Si diventa. È un lavoro che si costruisce in anni di sacrifici, partendo a volte da sotto al marciapiede come è accaduto a me. Non conta da dove vieni, ma solo dove vuoi arrivare».
Caratteristiche, qualità, per affrontare al meglio questo ruolo?
«Come in tutti i mestieri, anche nel calcio, ci vogliono passione, sacrificio, competenza, energia e fortuna».
La soddisfazione più grande?
«Ne ho avute tante di soddisfazioni e faccio fatica a scegliere un momento. Diciamo quando ho venduto Toni al Bayern e ho preso Osvaldo tra lo scetticismo generale. Il passaggio, lo capisco, era forte e ho sofferto moltissimo per tutto quello che si diceva. Ho dovuto anche dire, anzi, imporre a Osvaldo di vendersi la Ferrari…».
Vendersi la Ferrari?
«Eravamo già criticati e lui che fa? Si presenta al campo d’allenamento in Ferrari, gira per la città in Ferrari. Lo convocai in sede per spiegargli che bastava già tutto quello che si diceva e non era il caso di passare anche per un esibizionista. Si convinse e riportò la Ferrari dove l’aveva presa. Non era arrivato per fare il titolare ma al debutto, a Livorno, fece due gol. Il campionato terminò con la trasferta con il Torino. Dovevamo vincere assolutamente per scavalcare il Milan e andare in Champions».
E che succede?
«Io di solito non vado in panchina, ma era una partita speciale. A pochi minuti dalla fine, Prandelli dice a Osvaldo di riscaldarsi. Io mi avvicino e gli dico: “Oh, mi raccomando, ora entri e fai gol”. Fatto sta che va in campo e firma il gol vittoria con una rovesciata straordinaria. Una gioia enorme».
Il più grande rimpianto?
«Ho fatto due cicli a Firenze. Ma il rimpianto è legato al secondo…». […]
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«Chiesa per me è uno dei più grandi calciatori del nostro campionato e in futuro sarà da grandissima squadra».