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Vannucchi: “Io, l'Empoli e il fantacalcio. Oggi vado a pesca e faccio il modello”

Gattuso e l’Empoli

(Photo by New Press/Getty Images)

Un pescatore di sogni: Ighli Vannucchi lo era da bambino e continua ad esserlo oggi nella sua Toscana, dove si alternano prati perfetti per vederci un pallone rotolare sopra e laghetti in cui lanciare l’amo, aspettare e vedere che cosa succede. Tanta tecnica, molto allenamento e la giusta distanza: Vannucchi prendeva le misure, la rincorsa e calciava. Con l’amo succede un po’ la stessa cosa, in fondo tra calcio e pesca non ci sono poi tutte queste differenze: un grosso pesce di oggi è paragonabile a un bel gol di allora. Ighli ha messo sempre la spontaneità davanti a tutto: è questa la filosofia di vita che ha ispirato la linea di abbigliamento lanciata dall’ex giocatore, modello e padrone della sua vita. La storia d’amore con l’Empoli è finita con l’amaro in bocca per l’uomo che prende il nome dal protagonista del romanzo “Cime tempestose”, quella col calcio invece continua a 42 anni: all’età in cui conta solo la passione.

Ighli, oggi lei ha 42 anni ma gioca ancora…
Sì, ho ripreso a giocare: sono tornato. Lo scorso anno ho dato una mano a un mio caro amico che fa il mister nelle giovanili ed era in difficoltà al Quiesa: a gennaio ho ricominciato in seconda categoria. La stagione però è stata negativa per varie situazioni e quando è finita sono ripartito dalla terza categoria con un altro amico che aveva un progetto interessante allo Spianate.

Lei ha segnato un gran gol su calcio di punizione con lo Spianate in Coppa Toscana come quelli che un tempo faceva in Serie A: perché oggi si segna poco su calcio piazzato?
Non te lo so dire perché non conosco le statistiche. Oggi seguo poco e non so chi calcia le punizioni, ma ho sentito che Ronaldo è in grossa difficoltà. Un tempo la punizione era arte come quando un pittore dipingeva un quadro oppure come quando un cantante scriveva una canzone. Vedere talenti come Baggio e Del Piero pennellarle ispirava noi più giovani. Oggi è più difficile ammirare questa forma di poesia perché non ci sono più punti di riferimento.

Per calciare una punizione serve coraggio?
È un gesto tecnico che è possibile allenare, ma serve tanta personalità perché ci si assume la responsabilità di quella singola situazione. Quando c’è una punizione dal limite la vorrebbero tirare un po’ tutti, ma solo chi ha maggiore consapevolezza dei propri mezzi la può calciare.

Lei è cresciuto nella Lucchese, ma la sua carriera ad alti livelli è cominciata nella Salernitana…
Sì, lì ho giocato la mia prima stagione in Serie A. Salerno è una piazza molto passionale e intensa, alla quale devo molto. C’è ancora un grandissimo feeling tra me e l’ambiente grazie ai social che ci permettono di restare in contatto.

Lei ha giocato con Gattuso alla Salernitana: che cosa ricorda? Come lo vede oggi al Napoli?
Per ogni allenatore tutte le stagioni sono una scommessa perché non è facile gestire venti o venticinque teste e tutto il resto. Napoli è una piazza molto tosta. Io e Rino da ragazzi abbiamo giocato insieme anche nell’Under 21: lui era un trascinatore e sono certo che farà cose molto importanti. L’anno scorso al Milan è riuscito a tirare fuori il massimo da tutti, penso che riuscirà a farlo anche al Napoli.

Rino le ha mai detto che lei era tecnicamente più forte di lui?
Sì, ma lui è sempre stato onesto e sincero coi suoi compagni. Sapeva quali erano i suoi limiti. Averlo al fianco era importante: Rino ti trasmetteva tanta fiducia e forza. Penso che tutti i giocatori vorrebbero avere un Rino Gattuso accanto a loro.

Lei ha giocato col Venezia e col Palermo di Maurizio Zamparini: ha un ricordo del presidente?
Me lo ricordo presente come tanti altri presidenti, però non faceva grandi sfuriate nemmeno show. L’ho vissuto poco perché sono stato un anno o poco più in ballo tra Venezia e Palermo e non ho ricordi particolari del presidente.

(Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Lei è stato una bandiera dell’Empoli: che cosa l’ha spinta a legarsi così a lungo a questa piazza?
Ho iniziato la mia carriera mirando al massimo: volevo giocare in una squadra prestigiosa guadagnando bene. A un certo punto della mia vita però ho messo da parte queste ambizioni. Contava il mio benessere. La possibilità di stare vicino casa giocando in una squadra come l’Empoli, che aveva una gestione familiare tra virgolette, mi faceva stare bene e mi permetteva di vivere la vita che faccio oggi. Ho deciso di legarmi all’Empoli a vita, il legame però si è interrotto quando avevo 32 anni e poi ho preso altre strade.

Dopo l’estate di Calciopoli voi avete vissuto una stagione d’oro complice l’assenza della Juventus e la penalizzazione di altre squadre…
Abbiamo fatto qualcosa difficile da ripetere per una città come l’Empoli e per una piazza così piccola. Siamo stati in corsa per la Champions fino alle ultime giornate: siamo andati a San Siro col Milan a giocarci il quarto posto. Alla fine siamo riusciti a guadagnarci una qualificazione storica ai preliminari di Coppa Uefa. L’anno dopo però la società non ha dato tanta importanza a questo appuntamento e in quel momento l’incantesimo si è un po’ rotto.

Nel 2007-08 l’Empoli è retrocesso, in quella squadra c’erano Giovinco e Marchisio giovanissimi: che cosa ricorda di entrambi?
Erano molto bravi. Erano due ragazzi veramente in gamba, semplici, alla mano come piaceva a me. In campo erano di un’altra categoria anche se erano molto giovani e peccavano un po’ di esperienza.

Come vede l’Empoli oggi? Dopo la retrocessione, si sono già avvicendati due allenatori in panchina…
Anche io ho vissuto una stagione simile nel mio penultimo anno all’Empoli. Dopo la retrocessione ci sono sempre situazioni un po’ complicate, se non riparti con l’entusiasmo giusto diventa difficile. Oggi bisogna solo lavorare: è così che arrivano i risultati. Poi Empoli è una piazza che, anche se è un po’ arrabbiata, ti permette di farlo.

Un grande gol con la maglia Empoli non ha la stessa risonanza che si ha realizzandolo con un’altra: questa cosa le ha pesato in passato?
Sì, ma fa parte del gioco: fa più ascolti un Del Piero che un Vannucchi. La cosa bella è che, nonostante siano passati tanti anni, la gente nutre ancora tantissimo affetto nei miei confronti. Quando passo dalle zone in cui ho giocato, la gente mi riconosce e mi viene ad abbracciare: è il segno che ho lasciato qualcosa di buono, altrimenti questa cosa non capiterebbe.

Le piacerebbe tornare all’Empoli con un nuovo ruolo?
Sinceramente nel mondo del calcio non mi ci vedo per niente e infatti oggi faccio cose molte diverse. Sono tornato a giocare perché mi piace il rettangolo verde, tutto quello che c’è fuori dal campo al momento non mi interessa. Di conseguenza faccio di tutto e di più, ma non sono né dirigente né membro di una squadra di calcio.

Nel calcio di oggi ci sono troppe polemiche e si parla poco del gioco?
È tutto quello che non mi piace. Io vivo di motivazioni e di entusiasmo, quando devo pensare a cose che non mi interessano mi stanco subito. Anche da calciatore ero così: se non c’erano l’allenatore giusto oppure un ambiente positivo non riuscivo a splendere. Al contrario, quando c’è stato tutto in ordine, mi sono tolto belle soddisfazioni.

Quando era all’Empoli ha mai rifiutato le offerte di piazze più importanti?
No, ma penso che ci siano stati contatti col presidente: me lo hanno detto i procuratori. A me personalmente però non è mai arrivata nessuna richiesta perché sapevano che sarei rimasto a vita all’Empoli. In quel momento hanno sfruttato la mia voglia di rimanere, quando mi è scaduto il contratto invece non mi hanno nemmeno salutato.

Le è dispiaciuto per come è finita tra lei e l’Empoli?
È una nota negativa che mi porto dietro. Capisco che il mondo del calcio è fatto così, ma dopo otto stagioni e dopo aver dichiarato tutto il mio amore per la squadra sono dispiaciuto per come è finita. La gente ha imbrattato tutta Empoli per chiedere che rimanessi, il Comune se la sarà presa… La società invece non ha fatto niente di tutto questo.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


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