TORINO – Così come un giocatore non lo giudichi da come tira un calcio di rigore, non è dai particolari di una partitella d’allenamento che puoi valutare la forza tecnica, il temperamento morale, la condizione atletica e la tenuta psicologica di una squadra. Però un’idea te la puoi fare, soprattutto se arrivi da mesi di elettroencefalogramma agonistico piatto e di colpo ti ritrovi a dover lottare per la salvezza, quando l’imperativo della società e il convincimento – diciamo pure la presunzione – dei pedatori chiamati in causa erano quelli di «migliorare il 7° posto del campionato scorso» (Cairo dixit, con preciso input all’allora tecnico Mazzarri). Sconfitta su sconfitta, pena su pena, equivoco su equivoco, contestazione su contestazione, il Toro è invece arrivato a contare appena 5 punti di vantaggio sulla terzultima posizione, quella che ti fa retrocedere in B insieme con le altre due sottostanti: una sensazione di straniamento mentale che va oltre gli handicap calcistici e rischia di farti giocare e rendere ancora peggio del poco che vali. È proprio qui che è andato a infilarsi Moreno Longo, cercando di restituire un minimo di serenità a giocatori frastornati, liberandoli da troppe pastoie tattiche e altrettante paranoie generate dal vivere in funzione quasi esclusiva dell’avversario, lavorando sulla fiducia, sulla propositività, sull’autostima, sulla consapevolezza dei propri mezzi. Che non saranno eccelsi ma nemmeno quella miseria esibita negli ultimi mesi. Per questo sarebbe stato lecito attendersi, l’altro ieri contro il Parma, una prova finalmente all’altezza almeno sul piano dell’aggressività, del ritmo, del coraggio. Il coronavirus ha però disposto il rinvio del match e anche qua, almeno in casa granata, si è cercato di cogliere l’aspetto positivo: minor ansia da prestazione immediata, più giorni per lavorare sulle carenze di preparazione, per imparare inediti esercizi e schemi, per cementare uno spirito di gruppo che si era sfaldato, per focalizzare cervelli e caratteri su priorità troppe volte passate in second’ordine. Con ben stampato nelle teste l’obiettivo nuovo e imprescindibile: salvarsi, e prima possibile. Perché più in là si trascinasse questa penuria di risultati – siamo a 5 sconfitte consecutive, 6 con la Coppa Italia – peggio sarebbe. Salvarsi senza combattere, va da sé, è impensabile, prima ancora che impossibile. È un imperativo morale, prima ancora che un’urgenza tecnica. È un dovere verso i tifosi – ai quali è bastato vedere gli occhi sgranati di Longo e l’entusiasmo di Asta nelle vesti di collaboratore tecnico per deporre l’ascia di guerra – prima ancora che un’incombenza professionale. Chissà che non l’abbiano capito davvero, questi giocatori. […]
in Serie A
Scintille al Filadelfia: il Torino si allena a lottare
Tagcloud: