Secondo padre
Vitali, ragazzo originario di Pinsk, è rimasto in Bielorussia fino a vent’anni. Poi l’Italia lo ha chiamato e declinare l’offerta è stato impossibile. Quando Kutuzov è arrivato a Milano era un ragazzo di belle speranze ma ancora acerbo, alle prese con un nuovo Paese, con una nuova lingua e una nuova cultura. Il grande salto lo ha un po’ frenato, poi però si è rifatto con gli interessi: Genova è stata un trampolino di lancio dopo la stagione con Zdenek Zeman all’Avellino. Col Bari c’è stata una vera storia d’amore nel bene e nel male. Qualche infortunio di troppo e la squalifica hanno costretto Kutuzov a mettere qualche sogno da parte anzitempo. L’ex attaccante però ha fatto tesoro di tutto quello che ha imparato: un giorno si è sfilato gli scarpini… ha indossato i pattini ed è ripartito. Oggi Vitali ha 39 anni ma non ha smesso di andare veloce col pensiero e culla un sogno: far diventare i suoi giovani connazionali più forti di lui col pallone tra i piedi.
Vitali, che cosa fa oggi nella sua vita? Si è parlato molto di lei dopo il suo siparietto con Antonio Conte in Lazio-Inter….
È successo casualmente: un canale bielorusso ha voluto che facessi da ambasciatore per presentare l’Olimpico: lo hanno chiesto a me perché ci ho giocato tante partite. Volevamo far vedere la bellezza dell’Olimpico, dove si dovrebbe giocare la prima partita di Euro 2020. Poi siamo stati in conferenza stampa dopo Lazio-Inter e mi hanno detto di fare una domanda al mister: mi ha fatto piacere vederlo, sta facendo un grande lavoro all’Inter.
Che cosa significa avere Conte come allenatore?
Io ho avuto tanti allenatori importanti, tutti quelli che oggi lavorano in Serie A e sono i migliori. Mister Conte mi ha trasmesso tantissimi valori e gli altri allenatori hanno fatto lo stesso. Oggi cerco di trasmettere tutto questo ai ragazzi che iniziano a giocare. Conte ha messo un paio di pietre per la mia crescita ed è stato così anche con Ventura al Bari e al Pisa. Ma sono stato allenato anche da Ancelotti, Pioli, Guidolin, Zeman e Ranieri, Cagni e Novellino: gente che ha fatto grandi cose all’inizio del Duemila. Gli allenatori italiani sono tra i migliori al mondo.
Lei conosce anche Simone Inzaghi: l’ha sorpresa come allenatore?
Abbiamo giocato insieme ed è successa la stessa cosa col fratello Filippo al Milan. Ho avuto la fortuna di conoscere entrambi e così posso prevedere dove arriveranno: so che persone sono e che carattere hanno. Non mi aspettavo che Simone Inzaghi sarebbe cresciuto così velocemente perché un allenatore è come il vino e deve maturare un po’. Le sue ultime quattro-cinque stagioni sono state fantastiche, la sua squadra è formata da grandi calciatori e gioca ad altissimi livelli. Abbiamo ricominciato a parlare della Lazio per merito di Inzaghi.
Lei dove si trova in questo momento della sua vita?
In Lombardia, vivo qui. L’Italia è diventato la mia seconda casa dopo la Bielorussia, anche se resto molto legato al mio Paese perché ho sulle spalle 10 milioni di giovani. Ho creato la mia compagnia : cerchiamo di trovare il miglior modo possibile per far crescere i giovani, faccio di tutto affinché diventino professionisti. A volte però i genitori sono più pesanti dei bambini. Vivo in provincia di Varese, mi trovo bene qui. C’è Milanello vicino, c’è l’aeroporto e ho tutti gli specialisti a portata di mano: quando un ragazzo arriva dalla Bielorussia o dalla Russia, si ferma qui per un paio di giorni, facciamo insieme tutto quello che dobbiamo fare, poi torna a casa. Faccio il procuratore tra virgolette: per i ragazzi sono anche un allenatore e un padre. Cerco di fargli capire come lavorare, come vivere e comportarsi. Voglio offrire un servizio di alta qualità. Spero che alcuni di loro diventino grandi giocatori.
Quali sono i problemi principali del calcio bielorusso?
Trovare bravi calciatori non è facile. In Bielorussia poi mancano le strutture in cui i giovani possono crescere. Purtroppo la mia generazione è stata l’ultima di alto livello, oggi siamo la squadra europea più vecchia in assoluto. Dobbiamo giocarci lo spareggio per Euro 2020, ma penso che non abbiamo tante speranze. A marzo mi sono candidato come presidente della Federcalcio, ma la politica del mio Paese non mi ha permesso di farlo. Ho scritto un programma di sviluppo collaborando con tante società, ma non è andata bene.
Come sta vivendo questo periodo in cui il coronavirus ha colpito l’Italia?
La salute viene prima di tutto il resto: anche io sto cercando di uscire di meno e di seguire le regole fissate dal Ministero, voglio che in Italia ritornino i turisti, voglio che sia sempre un Paese all’avanguardia. Con questa storia secondo me si perde tantissimo dal punto di vista economico e da quello della sicurezza.
Quale sarebbe la soluzione migliore per il campionato di calcio?
Se l’epidemia continua va presa una decisione. Il campionato non è finito: non si può decidere chi ha vinto e chi è retrocesso. Bisogna trovare una soluzione che metta tutti d’accordo. Questa stagione potrebbe essere annullata. Questo momento però non deve dividere nessuno, anzi deve unire tutti quanti: dalla Lega alle società.
C’è stata un po’ troppa divisione all’inizio?
L’Italia ce l’ha sempre avuta. Forse non è stata compresa fin da subito la gravità del problema e si è perso un po’ di tempo, ma penso che quello che è stato fatto sia sufficiente.