Davide Ballardini ha costruito la sua brillante carriera su basi solide ed ineluttabili sul piano umano e professionale.
Tecnico competente, preparato, arguto in sede di preparazione del match, lucido e pronto ad interagire in fase di lettura della gara in corso d’opera. Allenatore capace di caratterizzare in modo marcato e tangibile le sue squadre sotto il profilo tattico, concettuale e della mentalità. Uomo dai modi miti e gentili, ma risoluto e decisionista nell’esercizio delle sue mansioni, dotato di carisma ed in grado di creare una buona connessione, didattica e relazionale con i suoi calciatori. Il tecnico originario di Ravenna ha sempre rivendicato con fervore e in maniera incondizionata la totale autonomia della gestione tecnica in ogni club per cui ha prestato la sua opera professionale. Al Cagliari, come alla Lazio, al Palermo come al Genoa. Autonomia operativa e rispetto dei ruoli, un must imprescindibile per Ballardini anche al cospetto di patron vulcanici, passionali e calcisticamente propensi alle ingerenze sotto il profilo squisitamente calcistico. Lotito, Cellino, Zamparini, Preziosi: un poker di presidenti con cui l’ex tecnico del Palermo si è reso protagonista di confronti serrati ed animati pur senza smarrire aplomb e stile, patrimonio insito nella sua indole. Davide Ballardini ripercorre tappe ed incroci significativi del suo percorso professionale nel corso di un’intervista esclusiva concessa alla redazione di Mediagol.it.
“Lotito, Cellino, Zamparini e Preziosi? Sono presidenti che hanno tutti una grande e spiccata personalità. A parte Lotito che non interveniva tatticamente ed in merito all’aspetto prettamente di campo , gli altri cercavano di condizionarti molto sia a livello tecnico che di scelte. In quei casi io, romagnolo, tenevo duro e ascoltavo perché dovevo ascoltare, ma a volte, inevitabilmente, litigavo. È giusto ascoltare, ma poi bisogna assolutamente agire con la propria testa. Si tratta di presidenti, come ho detto, dall’ego pronunciato e notevole personalità che vogliono mettere il naso un po’ dappertutto. L’allenatore, però, deve tutelare la propria persona, le proprie idee e le proprie scelte, oltre a rivendicare l’autonomia del proprio ruolo fino alla fine. Questo significa portare rispetto a chi ti sceglie, perché è giusto che tu svolga con tutti i crismi ed assumendoti piena responsabilità il ruolo per cui sei stato ingaggiato e per cui vieni piegato. Io sono uno dei pochi allenatori del Palermo, forse l’unico, a non essere mai stato esonerato da Zamparini. Io per ben tre volte ho risolto il contratto con il club rosanero del patron friulano: l’anno che andai alla Lazio, la stagione della querelle con Sorrentino e l’annata successiva dopo aver pareggiato a Milano contro l’Inter. Zamparini pensava di avere una squadra più forte dell’anno precedente e mi diceva di voler arrivare nei primi dieci posti. Io gli dissi: ‘Presidente, noi lottando sempre ogni partita, rimanendo compatti, coesi e tutti uniti, forse, riusciamo a salvarci’. Lui continuava a sostenere strenuamente che il Palermo era più forte dell’anno precedente e potesse ambire a ben altri obiettivi, a quel punto in presenza di una divergenza talmente radicale me ne andai. Poi quell’anno la stagione del Palermo finì molto male, la gestione tecnica successiva alla mia fece registrare il record di sconfitte consecutive”.