TORINO – Quando si parla di storia del calcio, si parla del Grande Torino. E quando si parla del Grande Torino, si parla (anche) di Ferruccio Novo. Oggi ricorre l’anniversario di nascita del presidentissimo di una squadra leggendaria, passata agli annali come una delle più forti di tutti i tempi. Cinque scudetti consecutivi, una Coppa Italia e un sogno interrotto troppo presto in quel tragico 4 maggio 1949, nella Tragedia di Superga. Il destino volle che Novo, bloccato da un’influenza, non salisse su quell’aereo. Al rientro da Lisbona, dopo Benfica-Torino (amichevole in omaggio al capitano lusitano Ferreira) il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI si schiantò contro il terrapieno della Basilica di Superga. Trentuno morti e nessun superstite tra calciatori, staff tecnico, giornalisti ed equipaggio. L’impressione fu tale che l’anno dopo la nazionale italiana andò ai Mondiali brasiliani in nave con un viaggio di tre settimane. “Ci allenavamo in poppa e tutti i palloni che avevamo con noi finirono in mare prima dello scalo alle Isole Canarie e dati in pasto ai delfini” ricordò Egisto Pandolfini.
La squadra del Grande Torino
Cinque scudetti consecutivi, una Coppa Italia e dieci granata vestiti d’azzurro da Vittorio Pozzo per una sfida contro l’Ungheria. Quando il calcio era puro agonismo e le maglie erano ricoperte dal sudore e non dagli sponsor, quando il calcio era ancora uno spettacolo da stadio e non da televisione. Da Bacigalupo, il portiere volante, a Loik, la mezzala istriana definita “elefante” per il curioso modo di far oscillare il corpo. Da Ossola, prima colonia del grande impero granata prelevata dal Varese per 1000 lire, a Grezar, il triestino elegante con l’obiettivo di dar ordine alla squadra. Da Menti, l’ala destra tutta scatto e dribbling, a Mazzola, l’esempio di quanto più forte, valoroso e completo il calcio italiano sia riuscito a produrre.
La mentalità di Ferruccio Novo
Ma non c’è una grande squadra senza un grande presidente. Imprenditore rigido e perspicace, Ferruccio Novo assunse la carica nel 1939 e cominciò subito a organizzare il club sul modello delle squadre inglesi, circondandosi di collaboratori fidati che lo incoraggiarono a passare dalla tattica del “metodo” (che aveva fatto la fortuna di Pozzo ai Mondiali del ’34 e del ’38) a quella del “sistema”. Durante la seconda guerra mondiale il presidentissimo riuscì a non far partire per il fronte i giocatori utilizzando come pretesto il loro lavoro in Fiat e creando un bel rapporto di solidarietà che sarà poi alla base delle vittorie successive.