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Bonazzoli, dal calcio femminile al coronavirus: “Mio papà è ricoverato”

Calcio femminile e futuro

Un uomo di provincia, partito dal basso e arrivato in alto. Oggi Emiliano Bonazzoli si è smarcato da qualsiasi rimpianto, un po’ come faceva coi difensori avversari nelle affollate aree di rigore in Serie A all’inizio del Duemila: gli infortuni lo hanno frenato all’apice della carriera, ma alla fine è andata meglio di quanto si aspettasse quando era solo un ragazzo. La natura ha dato ad Emiliano qualche centimetro in più rispetto a tanti suoi colleghi di reparto, così per lui usare la testa è stato naturale anche per fare gol. Oggi Bonazzoli studia il futuro in panchina dopo una stagione e mezzo alla guida di ragazze che ce la stanno mettendo tutta per far diventare grande il calcio femminile. Prima di ritornare in campo però dovrà finire l’emergenza sanitaria, che ha anche colpito da vicino il bomber originario di Asola e la sua gente.

Emiliano, dopo il ritiro lei ha cominciato ad allenare: come è nata la sua nuova carriera?
Ho allenato fino a gennaio. Poco prima che scoppiasse il coronavirus in Italia, ho dato le dimissioni dall’Hellas Verona femminile e ora sono disoccupato. Questo nuovo lavoro è cominciato per caso. Ho smesso di giocare di punto in bianco: dopo il Cittadella volevo andare avanti, ma non ho reputato adeguate le richieste che mi sono arrivate. Ho continuato ad allenarmi con una squadra di Prima Categoria gestita da un mio amico: non ero tesserato, volevo solo tenermi in forma. Nel novembre 2016 la squadra andava male, aveva perso sette partite di fila, allora il presidente mi ha chiesto se volevo accettare la panchina. È stata una scommessa perché non avevo mai allenato, ma avevo seguito il corso Uefa B quattro anni prima. Mi è piaciuto tanto mettere a disposizione l’esperienza fatta in vent’anni di calcio con tutti i miei mister.

Lei ha scelto di allenare nel calcio femminile: come è stato l’impatto? Che cosa le ha insegnato questa esperienza?
La chiamata è arrivata dopo i miei primi due anni in panchina: nel dicembre 2018 mi ha contattato la direttrice generale del Chievo Verona, ho parlato con lei e con la responsabile dell’area sportiva. Ho scoperto un mondo nuovo: prima di allora avevo allenato solo nel maschile. Sono stato sorpreso dalla semplicità e dall’umiltà delle ragazze. Ho accettato una sfida nuova perché le femmine sono diverse dai maschi. Non ho avuto paura, ho cercato di capire tutto fin da subito per conquistare la salvezza. Le ragazze lavoravano tantissimo e volevano capire sempre che cosa c’era dietro ogni mia scelta dal punto di vista tattico, volevano imparare. Era la realtà perfetta per crescere e migliorare.

Quindi ha seguito lo scorso Mondiale femminile con grande partecipazione?
Sì, avevo cominciato a conoscere questo mondo e poi una mia giocatrice era stata convocata in Nazionale. Ho seguito il Mondiale con grande attenzione.

Ci sono ancora dei pregiudizi nei confronti del calcio femminile?
Alcuni addetti ai lavori sono scettici. Io ho imparato che non bisogna fare paragoni. Le ragazze sono diverse dal punto di vista fisico, hanno una forza diversa quando colpiscono il pallone e vanno a una velocità differente. Bisogna pensare solo a crescere e a migliorarsi nell’ambiente in cui si è.

Lei è originario di Asola in provincia di Mantova, una zona colpita dal coronavirus: come state affrontando l’emergenza?
Fino a un mese e mezzo fa vivevo a Milano. Poco prima che ci fosse il lockdown, io, mia moglie e mio figlio abbiamo deciso di trasferirci nell’isola privata di Albarella in provincia di Rovigo: io sono disoccupato, mia moglie lavora nell’Università che al momento è chiusa e mio figlio non può andare a scuola. Abbiamo scelto di venire qui finché la situazione non migliora: vedremo se prolungare o meno queste ferie forzate. Qui può entrare solo chi è residente oppure chi ha domicilio: ci sono 3-4 famiglie su 2000-3000 case, siamo immersi nella natura e non c’è il pericolo di incontrare gente o fermarsi a parlare.

È in contatto coi suoi familiari che vivono ad Asola?
Purtroppo da una settimana il mio papà ha preso il coronavirus: adesso è ricoverato all’ospedale di Mantova, non è intubato, ma fa fatica a respirare perché ha avuto una polmonite. I sintomi erano quelli: lui ha quasi 70 anni ed è molto ansioso. I dottori però mi hanno detto che sta abbastanza bene. Io sento mia mamma che adesso è in quarantena. Mi dispiace che in questo momento siano divisi. Sono in contatto coi medici, per fortuna sento spesso il mio papà.

Come immagina il calcio dopo il coronavirus?
Quando tornerà tutto come prima ci saranno i primi problemi. In questo momento i giocatori sono fermi: chi stava lottando per lo scudetto oppure per un posto in Champions però vorrebbe tornare a fare quello che faceva prima, cioè ad allenarsi ogni giorno e a giocare.

La stagione va finita?
Non so dare una risposta, dipende da quando finirà quest’emergenza. Chi ha un obiettivo da raggiungere vorrebbe ricominciare il più presto possibile, ma in questo momento la salute viene prima di tutto il resto. Bisogna essere certi che tutto sia passato prima di tornare in campo.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


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