Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia-Romagna, sta lottando in prima linea contro il Covid 19 con lo spirito juventino del “Fino alla fine”, perché la sua passione bianconera non lo abbandona mai.
Presidente, spesso si usano metafore calcistiche, ed è effettivamente lo spirito di squadra sembra essere la risposta più efficace in questa battaglia al virus.
«Assolutamente sì, da juventino dico che serve lo spirito di una squadra che da oltre un secolo ha dimostrato di non mollare mai, da emiliano-romagnolo dico che serve il dna della mia terra che ha saputo sempre rialzarsi».
I ponti di Pasqua, 25 aprile e 1° maggio a casa: gli italiani sono ligi?
«In attesa di un vaccino, il distanziamento sociale è la sola misura efficace. Le chiusure sono inevitabili, per tutelare la salute delle persone e salvare vite umane. La stragrande maggioranza degli italiani sta dimostrando grande senso di responsabilità: il loro impegno è fondamentale e non può essere messo in discussione da quella minoranza di irresponsabili che ancora ignora le restrizioni e che va sanzionata duramente».
Come ha affrontato l’emergenza sanitaria nella sua regione?
«Un giorno e mezzo dopo il primo positivo in Italia, chiudemmo scuole e università. Fui il primo a vietare jogging, passeggiate e uso della bici per svago. Abbiamo imposto restrizioni maggiori nelle province di Piacenza e Rimini, dopo aver fatto zona rossa Medicina, per fermare il contagio che minacciava Bologna, con un milione di abitanti. Poi siamo passati all’attacco, cercando il virus casa per casa con assistenza e terapie domiciliari preventive, test sierologici sul personale sociosanitario e i tamponi in auto, con un piano regionale che ha triplicato i posti letto in terapia intensiva e moltiplicato quelli Covid. Se abbiamo retto lo dobbiamo in primis alla nostra sanità pubblica regionale e a chi vi lavora, a cui abbiamo deciso di dare un riconoscimento economico di mille euro in media ciascuno: quello che fanno non ha prezzo».