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Milan, Taveggia: “Vi racconto tutto sulla maledetta notte di Marsiglia”

Una lunga carriera dirigenziale nel Milan quella di Paolo Taveggia. L’ex direttore organizzativo rossonero ha parlato nelle scorse ore ai microfoni di Milannews.it toccando numerosi argomenti.

ANEDDOTI – “Oltre alle vittorie nelle finali di Coppa dei Campioni, la cosa che più mi ha fatto godere è aver battuto il Real Madrid 5-0 a Milano. Su quella sfida ho due aneddoti. Il giorno prima della gara il nostro portiere Giovanni Galli, avvicinandomi, mi disse che nella partita di andata Sanchez, ogni volta che faceva i passi per rinviare il pallone, gli si metteva davanti e gli sputava in faccia. Quando prima del match parlai con l’arbitro Ponnet, gli comunicai questi episodi dicendogli di fare attenzione. Non a caso, lo spagnolo venne ammonito al primo fallo dopo tre minuti di gioco… Il secondo aneddoto avvenne a fine partita: Schuster, innervosito per l’umiliazione subita, si avvicinò e mi disse: ‘avete pagato gli arbitri’. Io risposi: ‘ se lo avessimo fatto non avremmo vinto 5-0. Non siamo come i tuoi dirigenti, che gli arbitri li hanno pagati tante volte”.

BELGRADO – “Quella finale fu un piccolo film. A Milano avevamo pareggiato 1-1, al ritorno dovevamo giocare al Marakana, nel quale prendevano posto anche gli ultras della Stella Rossa. Ci portammo dietro anche Gullit, anche se non poteva giocare per una simil pubalgia. La sera della nebbia credo che se noi avessimo giocato con le mani e loro con i piedi non avremmo vinto comunque, era una di quelle sere in cui non funzionava nulla. All’intervallo eravamo sullo 0-0, quando ritornammo in campo non si riusciva a vedere niente a due metri di distanza. Anche dalla panchina non si vedeva niente. Capimmo che loro erano passati in vantaggio dal boato. Ramaccioni (team manager del Milan, ndr) mi disse di far notare la situazione alla terna arbitrale. Mi alzai per chiedere al guardalinee se riusciva a vedere qualcosa, lui mi fece tornare a sedere. Continuai a camminare seguendo l’assistente come un’ombra, fino a quando a un certo punto sentimmo i tre fischi dell’arbitro: gara sospesa. Disse che avremmo dovuto aspettare 45 minuti in attesa che la nebbia si diradasse. Rientrai negli spogliatoi e vidi che i giocatori stavano facendo la doccia: non avevano capito che era sospesa e non rimandata. Andai a bussare alla porta dell’arbitro Pauly, il quale mi confermò che la partita era sospesa. Feci una sceneggiata tipo Alberto Sordi dicendogli che la mia carriera era rovinata, perché i giocatori erano sotto la doccia a causa del malinteso. Aprì la finestrella, guardò fuori e mi disse: ‘si gioca domani alle 15’. Non ho mai raccontato questa cosa per vent’anni. La partita, il giorno dopo, ripartì dallo 0-0 e terminò 1-1. Dopo i supplementari si andò ai rigori. Il quarto penalty avrebbe dovuto tirarlo Cappellini, come era indicato anche sulla lista consegnata all’arbitro. Ma lui non se la sentì e andò Rijkaard. Segnò e passaggio del turno per noi, con quelli della Stella Rossa che non erano a conoscenza dei rigoristi designati. A fine gara chiesi spiegazioni a Rijkaard, che mi disse: ‘Inizialmente non volevo tirarlo, ma poi mi sono reso conto che se lo avesse sbagliato Cappellini la sua carriera sarebbe finita, mentre io sarei rimasto comunque Frank Rijkard”.

MARSIGLIA – “L’aneddoto che ricordo con meno piacere risale al 1991, Marsiglia-Milan, quando il Milan uscì dal campo e si spensero le luci. Fu un errore generale, generato anche da qualche furbizia da parte del Marsiglia, in cui tutti abbiamo avuto delle responsabilità. Noi dovevamo giocare il ritorno al Velodrome dopo aver fatto 1-1 a Milano. Il Marsiglia aveva un’organizzazione importante ai tempi, il presidente Tapie era anche presidente dell’Adidas, uno dei grandi sponsor della UEFA. Qualche giorno prima della partita mi chiamò Uli Hoeness (ai tempi dg del Bayern Monaco, ndr), con i quali avevo dei rapporti meravigliosi, specificando che fosse una telefonata riservata e mi disse: ‘Ti faccio questa confidenza solo perchè siamo amici, mi ha chiamato Beckenbauer (dt del Marsiglia, ndr) avvisandomi che stanno preparando delle cose poco simpatiche per il Milan in Francia, con anche il pericolo che ci possa essere qualche contaminazione del cibo in albergo destinato ai giocatori’. Io mi occupavo anche dell’organizzazione logistica e così decisi, senza dire veramente nulla a nessuno tranne a Galliani, di cambiare hotel ad una settimana dalla partita. Nemmeno i giocatori e l’autista sapevano di questo cambio. Pensa che Maldini, dopo un quarto d’ora dall’arrivo in albergo, mi disse che Adriana (attuale moglie dell’ex capitano, ndr) stava provando a chiamare l’albergo, ma che non riusciva a trovarlo, perchè lei in realtà aveva il numero di quello che doveva essere l’hotel originario. La sera andammo al campo per l’allenamento alla vigilia della partita e trovammo i cancelli del Velodrome chiusi. Dopo un po’ riuscimmo a farci aprire, ma i palloni sembravano scomparsi e vidi che c’erano un po’ di persone che stavano lavorando nel fossato interno attorno al campo. Al momento non ci feci troppo caso, ma il giorno dopo questo particolare si rivelerà fondamentale per capire cosa successe realmente. Alla fine saltarono fuori i palloni e facemmo una breve rifinitura. Il giorno della partita, nel momento in cui il Marsiglia era avanti 1-0 e mancavano tre minuti alla fine della gara, Waddle si trascinò il pallone sul fondo, l’arbitro Bo Karlsson fischiò e fece un gesto con le braccia che si poteva interpretare come la fine della gara. I giocatori del Marsiglia cominciarono a festeggiare, noi pensammo che la partita fosse finita. Io vidi che nel frattempo stavano iniziando ad entrare in campo i vari soggetti che sono attorno al campo, dai poliziotti marsigliesi che festeggiavano ai fotografi. Ramaccioni mi guardò e mi disse che non era ancora finita la partita e di andare ad avvisare l’arbitro che mancavano ancora tre minuti. Karlsson mi disse che ne era consapevole e io gli feci notare la confusione che c’era in campo in quel momento e che non si poteva continuare in quelle condizioni. Nel frattempo i giocatori del Milan si stavano scambiando le maglie con quelli del Marsiglia, con il pubblico del Velodrome che era in festa. Mentre stavamo facendo questi ragionamenti, si spense completamente uno dei quattro piloni con i riflettori. Karlsson a quel punto mi disse che le squadre dovessero rientrare negli spogliatoi, che avrebbero liberato il campo e poi si sarebbe finita la partita. Ci avviammo per andare negli spogliatoi – a cui si accedeva tramite una botola dietro la porta del Marsiglia – ma la botola non si aprì perchè probabilmente era chiusa dall’interno o per la troppa confusione che c’era sul campo. A quel punto rimanemmo tutti lì attorno nel mezzo di un casino generale in cui Papin – che sarebbe poi venuto da noi l’anno successivo – ci stava sputando addosso e con il Velodrome che ci urlava di tutto. I fari a quel punto cominciarono a riaccendersi piano e piano e l’arbitro disse di ricominciare la partita. Tanto è vero che chi guarda il filmato, vede che io e Beckenbauer stiamo tornando verso la panchina, parlottando tra di noi – io non gli ho mai detto che sapevo tutta la storia che mi aveva rivelato Hoeness al telefono – e Gullit si sta rimettendo la maglia per poter rigiocare. In quel momento entrò Galliani in campo – che non era riuscito ad arrivare sul terreno di gioco attraverso gli spogliatoi, ma passando tra il pubblico di casa inferocito – e quello fu un errore”.

ATTUALITA’ -“Se avessi dovuto pensare io a una ripartenza del Milan avrei coinvolto Maldini e Boban oppure Leonardo, ma avrei messo a loro disposizione persone con grande esperienza, da permettergli di non andare allo sbaraglio. Un soggetto alla Ramaccioni, alla Braida o alla Taveggia. Ci voleva qualcuno al loro fianco per permettergli di imparare. Non mi è poi mai piaciuta l’idea che si potesse costruire una società ex novo, andando a prendere un puzzle di soggetti. Quando entrai io al Milan, ad esempio, ci conoscevamo tutti. Facendo come adesso, invece, rischi di mettere più galli nello stesso pollaio. Se una società non funziona, puoi avere anche Gesù in campo, ma non vinci. Il Milan deve poi mantenere la milanesità in società: il modello di business americano non è applicabile da noi. In Italia avviamo una nostra cultura e un nostro modo di pensare”.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


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