in

Ministro Speranza, il calcio non è solo un gioco

Roberto Speranza si è rifugiato in uno di quegli artifici retorici che da sempre risultano utili a solleticare il senso comune e ad alzare il polverone sotto al quale sotterrare i discorsi di merito. Noi, invece, ci sforziamo di esercitare la difficile attitudine (richiede pazienza) della magnanimità e riconosciamo che il contesto in cui il Ministro della Salute ha pronunciato la frase in questione la rende perfino comprensibile: si parlava di salute, di decessi, di emergenza e lì per lì è sbucata una domanda sul calcio. E lui ha risposto, appunto, con il più scontato luogo comune: «Sono un grande appassionato di calcio ma con più di 400 morti al giorno con sincerità è di cui possiamo occuparci». Comprensibile, ma non giustificabile.

Perché un uomo delle istituzioni deve saper gestire anche i trabocchetti retorici e deve conoscere l’argomento di cui si discute: non di Var, rigori, colori delle magliette si trattava, ma di una tra le principali aziende del paese. Che risulta comod(issim)o per mettersi in mostra quando si vincono Mondiali o Coppe, ma che pure è una perfetta arma di distrazione di massa se si banalizza tutto alle questioni di campo e alla retorica degli stipendi milionari.

Il problema, però, è che “il calcio” genera utili e dà lavoro a parecchie persone, non solo ai calciatori. Una azienda, appunto, che invece di svolgersi nei capannoni, si concretizza negli stadi o sui campi di periferia. Vediamoli, questi numeri.

Secondo i dati forniti dall’ultimo “bilancio integrato della Figc”, la rendicontazione annuale della Federazione, con i 4,7 miliardi di euro del fatturato diretto generato dal settore,l’Italia produce ben il 12% del Pil del calcio mondiale. Con quasi 1,2 miliardi di euro generati solo dal calcio professionistico (in crescita del 37% tra il 2006 e il 2016) il “sistema calcio” rappresenta il principale contributore a livello fiscale e previdenziale dell’intero comparto sportivo, un’incidenza del 70% rispetto al gettito fiscale complessivo di tutto ciò che arriva dal mondo sportivo in termini di contributi versati al fisco. Tutt’altro che secondario anche l’impatto socio-economico del calcio italiano che nel 2017- 2018 ha movimentato oltre 3 miliardi di euro considerando gli indotti economico, sociale e sanitario. Dati economici che, già di per sé, dovrebbero indurre un rappresentante delle istituzioni a commenti circostanziati, soprattutto considerando che in questo momento il Paese non naviga certo nell’oro e che di tutto ha bisogno meno che di una ulteriore riduzione del gettito fiscale.


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a


Tagcloud:

La A riparte? Il governo frena. Oggi vertice da Spadafora: protocollo sotto esame

Mundo Deportivo: “Inter, su Arthur anche il Tottenham”