Da profonda che era, la stima per Ciro è diventata assoluta dopo l’ultima dichiarazione del capocannoniere del campionato, bomber della Lazio e della Nazionale, candidato alla Scarpa d’oro. Di fronte alla miopia e all’impreparazione della politica che non sa di calcio, ma il calcio vuole asfissiare, a Immobile sono bastate poche parole. «E’ pazzesco che io possa andare con Dzeko a Villa Borghese, ma non a Formello, dove ci sono sei campi e posso correre da solo. E’ discriminatorio. Dobbiamo pensare al bene della gente che lavora intorno ai calciatori, ma non guadagna come noi. Alcuni prendono mille euro al mese, senza calcio non hanno neanche quelli. Non mi frega niente di ripartire perché sono primo tra i marcatori: come tutti io spero di tornare a lavoro».
La presa di posizione di Immobile ha il pregio della chiarezza e dà un calcio alla confusione, all’incertezza, all’ipocrisia che stanno scandendo questi giorni e non certo per colpa del calcio e di tutte le altre discipline. Immobile è un uomo di sport, parla di sport perché sa di sport e mostra una sensibilità che gli fa onore verso i 300 mila occupati nell’indotto del pallone minacciati di perdere il proprio posto di lavoro e in preda al timore di non arrivare più alla fine del mese. In questi due mesi, avete mai sentito, letto, ascoltato una, dicasi una dichiarazione rilasciata da un politico di qualunque colore, capace di spendere parole di sostegno per i massaggiatori, i fisoterapisti, gli impiegati, gli osservatori, gli addetti agli spogliatoi? Avete notizia di iniziative concrete, cioè di contributi di sostegno, cioè di fondi, rapidi e già erogati, a favore dei 4 milioni 703 mila 741 iscritti alle federazioni del Coni e associate (il 56,7 per cento ha meno di 18 anni) o dei 7 milioni e 700 mila affiliati agli enti di promozione o dei centomila centri sportivi la cui associazione nazionale (Anif) stima una perdita di 3 miliardi di euro? Intanto, le cronache registrano gli allarmi lanciati dal tennis, dal nuoto, dai dilettanti, dal calcio femminile, dalla pallavolo, dal basket, dall’atletica, dal movimento paralimpico, dai 37 mila collaboratori sportivi che ancora stanno aspettando i 600 euro promessi da uno dei fatidici Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri). E’ datato 17 marzo, oggi siamo al 30 aprile. Ieri, Tuttosport ha raccontato la sgradevole scoperta fatta da Paolo Barelli, presidente della Federnuoto, uno dei migliori dirigenti dello sport italiano: «Non è vero che il 18 maggio ci sarà il via libera ai centri sportivi, nell’ultimo decreto Conte non c’è scritto». Eppure, soltanto quattro giorni fa, nell’ennesimo pistolotto tv a reti unfiicate, Conte (Giuseppe) aveva annunciato che da quella data sarebbero ricominciati gli allenamenti collettivi. Peccato che un’ora e mezzo più tardi, nel sempre accogliente salotto di Fazio, Spadafora abbia scavalcato a destra e a sinistra il proprio premier, gelando le aspettative di ripresa della Serie A. Per non dire del martellamento dei giorni successivi, fra una dichiarazione su Facebook e a una tv, curiosamente né Sky né Dazn invece pronte a intervistare il ministro per lo Sport come giornalismo impone e come Sky e Dazn sanno fare, rifuggendo gli inginocchiatoi. «Il sentiero per la ripartenza del campionato è sempre più stretto», ha avvertito Spadafora ieri mattina. Immobile gli ha fatto un tackle da manuale, l’Uefa l’ha messo in fuorigioco con Tim Meyer, presidente del comitato medico di Nyon: «Tutte le organizzazioni calcistiche che pianificano il riavvio delle loro competizioni produrranno protocolli completi che dettano le condizioni sanitarie e operative, garantendo che la salute delle persone coinvolte negli incontri sia tutelata e l’integrità del pubblico sia preservata. In queste condizioni e nel pieno rispetto della legislazione locale, è sicuramente possibile pianificare il riavvio delle competizioni sospese». Com’era la storia del sentiero sempre più stretto?