TORINO – racconta la sua battaglia contro il tumore in una toccante intervista al ‘Guardian’: “Ti senti come se stessi deludendo qualcuno, come i tuoi genitori. Perché non vuoi che i tuoi genitori ti vedano mentre soffri – dice di Juve e Sampdoria – sono stato sempre visto come un duro, con tanta determinazione e non esserlo mi ha messo a disagio. Non volevo sembrare un povero ragazzo malato. E’ anche un peso. La gente ti chiamerà per dimostrarti che ti pensa, ma anziché passare del tempo al telefono avevo bisogno di tempo per me stesso. E il giorno in cui cominci a vedere le cose diversamente, la tua vita cambia. Adesso mostro le mie paure con orgoglio, sono il simbolo di quello che ho passato. Adesso capisco che quando voglio piangere, piango, senza vergogna. Cerco di non piangere davanti alle persone molto emotive, di farlo quando sono da solo. Ma se mi trovo in un posto dove sono a mio agio, non trattengo niente dentro. Mi lascio andare e poi mi sento meglio“.
“Nel mio caso – dice ancora Vialli – piangevo perché avevo paura dell’ignoto, non sapevo se sarei stato bene o no. Non ho mai pensato di dover combattere il cancro, perché sarebbe stato un nemico troppo grande e potente. L’ho presa come un viaggio con un compagno indesiderato nella speranza che si annoiasse e morisse prima di me“.
Vialli e la paura della malattia
Vialli è guarito, ma non si sente sicuro: “Sfortunatamente queste cose hanno la tendenza a tornare. Ma al momento sto bene e spero continui a essere così finché morirò di vecchiaia“. L’ex attaccante parla anche di Coronavirus e della possibilità che si torni a giocare: “In tempo di lutto, e quando passi situazioni difficili come queste, alcuni psicologi dicono che dovremmo provare a fare le cose che ci danno piacere senza sentirci in colpa. Per cui il calcio può essere uno strumento per dare alle persone un po’ di sollievo. Detto questo, posso solo immaginare come si sentono i calciatori e non saprei cosa dire loro. Se fossi ancora un calciatore, probabilmente troverei difficile concentrarmi sul calcio perché c’è ancora gente che muore“. Infine una battuta sul suo ruolo: “Ho iniziato questo nuovo capitolo come capo delegazione della nazionale. Sono felice di essere finito a lavorare col mio migliore amico. E’ grandioso poter aiutare Roberto (Mancini, ndr) e adoro provare a ispirare i giocatori“.