L’Africa, la ripresa e Sarri
Regole e disciplina ovunque: in campo e nella vita. Ma anche la voglia di sognare e di lottare per andare oltre quella Toscana che è rimasta comunque casa sua. Alessandro Birindelli è stato il terzino della Juve di Lippi che ha sfiorato la Champions e soprattutto di quella Juve costretta a rimboccarsi le maniche con Deschamps dopo Calciopoli, in quel 2006 che all’ex terzino ha rifilato la delusione della mancata convocazione al Mondiale per un brutto infortunio. Birindelli però non hai mai smesso di lottare: nella sua carriera ha vinto spesso e qualche volta ha perso, soprattutto a Manchester. Spalletti è stato più di un collega per Birindelli: è stato l’uomo che lo ha sgrezzato lanciandolo nel calcio che conta, in cui l’ex terzino sogna di ritornare restando sempre lungo la sua amatissima linea laterale. La nuova vita di Birindelli da allenatore è cominciata in Africa a bordo di una Jeep con cartine geografiche scritte a penna e un inglese approssimativo: il modo migliore per ribadire quali sono le cose più importanti nella vita e nel calcio.
Alessandro, che momento sta vivendo?
A livello umano io e la mia famiglia siamo stati fortunati: non abbiamo subito nessun contagio. Siamo stati in casa rispettando le regole. È stato bello in un certo senso: dopo aver trascorso una vita sempre in giro abbiamo avuto la possibilità di condividere momenti belli e importanti in una situazione difficile. Attorno a noi non era facile con tutti questi decessi. Io vivo in Toscana: a livello regionale l’emergenza sanitaria è stata abbastanza contenuta, ci sono stati veramente pochi contagi.
Lei fa l’allenatore: adesso è in cerca di nuove avventure professionali?
Dopo aver smesso di giocare, ho avuto la possibilità di andare con Dario Bonetti all’estero, prima in Africa nello Zambia e poi in Romania: l’ho fatto per capire se potevo fare questo mestiere, se mi appassionava e se ne ero capace. Dopo mi sono messo al lavoro per prendere i patentini: ho cominciato il percorso a Coverciano, ho conseguito i diplomi da allenatore e da direttore sportivo. Avevo bisogno di capire come viene svolto il lavoro dall’altra parte, dietro la scrivania e in campo. L’ho fatto per avere un vantaggio nei colloqui con le varie società.
Come è stata l’esperienza in Africa?
Lo Zambia ha vinto la Coppa d’Africa nel 2012: noi avevamo il contratto in scadenza e siamo stati mandati via un mese prima dell’inizio della competizione che hanno vinto. Abbiamo fatto il lavoro nei due anni precedenti: dallo scouting alla preparazione in vista del torneo. Auguro a tante persone di fare un’esperienza simile: quando ritorni nel mondo reale le lamentele non contano più perché tu sai chi vive nella precarietà e nel disagio tutti i giorni. L’Africa mi insegnato un grande spirito di adattamento. Quando hai tutto non ti rendi conto di quello che possiedi e ti lamenti per qualsiasi cosa che ti manca. In Africa non c’è niente: lì devi inventarti per forza qualcosa.
Come andavate a seguire i giocatori?
Partivamo con la Jeep senza navigatore e con un foglio di carta scritto in un inglese approssimativo: avevamo cartine fatte a penna. Pensa che genere di campi abbiamo trovato. Però è stata una bella esperienza: mi ha fatto capire il valore di quello che ho e di quello che ho avuto. In Africa ho capito la fortuna che noi abbiamo ogni giorno.
Come è stato tornare in Italia e dover ritrovare motivazioni nel calcio di prima?
Ho lavorato un po’ nei settori giovanili di Pisa ed Empoli: vedere la nuova generazione che si lamenta e che non ha voglia di sacrificarsi per me era inconcepibile, però mi sono dovuto adattare perché ero io lo sbagliato tra virgolette. Nel mio piccolo ho cercato e cerco di far capire quali sono i valori e che cosa conta nella vita. All’inizio facevo fatica a lavorare coi ragazzi. Io porto la mia esperienza: chi la fa sua può avere vantaggi, a qualcun altro invece entra da un orecchio ed esce dall’altro.
Sono le stesse cose che dice a suo figlio Samuele che gioca nel Pisa?
Samuele è sempre stato un ragazzo con la testa a posto, ha sempre fatto le sue scelte di sua spontanea volontà. Tu trasmetti i tuoi valori poi c’è il figlio che capisce e quello che non ascolta. Samuele è sempre stato un ragazzo più grande per la sua età, molto maturo: questo a volte può essere un vantaggio, a volte uno svantaggio. Gli dico spesso che deve essere un pochino più spregiudicato: lui invece pensa troppo e a volte si limita un po’ forse, però è sempre stato convinto di ciò che voleva fare.
Avete parlato anche della ripresa del calcio italiano? Quale è la sua idea Alessandro?
È giusto ripartire sotto certi aspetti perché sappiamo quanto è importante il calcio a livello economico: in Italia è la terza o quarta azienda che dà lavoro a tantissime persone e la possibilità di respirare a tantissime famiglie. Ripartire è giusto, ma bisogna farlo in sicurezza. Credo che siano state prese tutte le precauzioni del caso. Se è giusto o meno ripartire da dove ci eravamo lasciati è un discorso, fermare tutto e ripartire da zero è un altro: ci sarà sempre chi è a favore di una cosa e chi di un’altra per interessi. Mettere tutti d’accordo è impossibile.
Il fattore caldo peserà?
Ci sono tante incognite. Giocare ogni tre giorni ad esempio: le squadre impegnate in Europa lo sanno fare. Il problema più grosso è il periodo in cui giochi: il caldo si farà sentire, ci sarà dispendio di energie, recuperare sarà un problema. D’estate fai fatica a riposare bene perché c’è caldo. Vincerà chi sarà più bravo a gestire i particolari. Anche gli allenamenti saranno un problema: giocando ogni tre giorni hai poco tempo per allenarti. C’è il rischio infortuni come abbiamo visto in questo inizio di riatletizzazione. Chi avrà la rosa più lunga avrà un vantaggio, meglio se di qualità.
Che cosa pensa della Juve di Sarri?
Sarri ha fatto un grande lavoro pur non avendo a disposizione la squadra che aveva in mente. La società ha scelto l’allenatore dopo aver fatto mercato e molto probabilmente Sarri non era la sua prima scelta. La Juve aveva puntato su altre figure, nel frattempo però doveva mettere in piedi una squadra. In panchina si è seduto un allenatore che ha idee di calcio diverse e che vuole giocatori con caratteristiche differenti da quelle dei giocatori comprati quest’estate. Sarri è stato bravissimo ad adattarsi e a portare questa squadra a vincere: ne esce vincitore, anche se bisogna vedere come finirà la stagione.
La Juve prima di Ronaldo e la Juve dopo Ronaldo: quale le è piaciuta di più?
Ronaldo è un grande campione che vorrebbero avere tutte le squadre. Poi ci sono aspetti tecnico-tattici che possono piacere o meno: come gioca, la necessità di modellare la squadra per esaltare le sue caratteristiche. L’acquisto di Ronaldo è stato una grande operazione a livello di marketing e di merchandising, un investimento importante sotto tanti punti di vista. Ronaldo fa sempre la sua parte in campo. Il mercato intorno a lui non è stato al ribasso: la Juventus ha colto alcune opportunità, alcune si sono rivelate positive altre meno. Penso che la società abbia agito al meglio in questi anni.
È stato strano vedere Dybala sul mercato?
Assolutamente sì, ma probabilmente è stata una scelta dettata da ragioni ben precise. La società ha fatto un grosso investimento con Ronaldo, gli unici che avevano mercato erano Dybala e Higuain e si è pensato di venderli: fortunatamente niente di tutto questo è andato in porto. Dybala garantisce un grande rendimento per altri dieci anni e poi sa determinare le partite: è un giocatore fondamentale per la Juventus.
Come vede la Juve in Champions?
È stata una stagione particolare. Nessuno si aspetta che la Juventus possa vincere la coppa quest’anno: per questa ragione penso che possa essere l’anno buono.