TORINO – Tutto ruota intorno a una parola: bolla. Abbiamo imparato a conoscerla quando lo sport ha ripreso faticosamente dopo il blocco imposto dal Covid-19. Tutti insieme, più o meno appassionatamente, per isolarsi dal resto del mondo e poter tornare alle attività consuete. Lo ha fatto il calcio in Europa, lo ha fatto la Nba – che ha raccolto a Orlando ventidue della trenta squadre – e, con il basket, tutto lo sport a stelle&strisce. Una volta ripresa l’attività per la stagione 2020-21, la bolla è stata mantenuta in sport individuali, come il tennis e l’atletica leggera, mentre in quelli di squadra non è stata più obbligatoria. Ma non è svanita. È infatti l’accorgimento che si prende quando si scopre una positività nel cosiddetto gruppo squadra: non solo i calciatori e lo staff, ma tutto il mondo che ruota intorno a chi scende in campo e che è essenziale per il funzionamento della macchina. Ed è quello che sembra aver fatto la differenza per quanto riguarda Juventus-Napoli, non andata in scena ieri sera dopo che la squadra campana è stata fermata sabato sera, poco prima del decollo per Torino, dall’intervento dell’Asl regionale, con le conseguenze che sono state sotto gli occhi di tutti.
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Isolamento fiduciaro
Una considerazione che nasce dopo aver ascoltato le parole del presidente Andrea Agnelli e il dottor Luca Stefanini, intervenuti ieri sera per spiegare le ragioni della Juventus: “Il protocollo prevede un isolamento fiduciario in una struttura concordata con l’Asl quando emerge una positività all’interno del gruppo squadra – sottolinea il responsabile dello staff sanitario bianconero -. È quello che abbiamo fatto noi, ritrovandoci al Training Center, quando abbiamo fatto i tamponi entro le quarantotto ore prima del match, secondo le ultime direttive”.
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