TORINO – Dal principio alla fine trascorrono tre anni abbondanti nel corso dei quali succede di tutto: trionfi che procurano godimento puro (Trieste insegna), delusioni impossibili da dimenticare (Istanbul), reazioni e controreazioni, parate e risposte in cui le parole si fanno incendiarie e inevitabilmente i rapporti alla lunga si guastano. Ma quella tra Andrea Agnelli e Antonio Conte non è la storia di un breve idillio: si sono conosciuti, si sono piaciuti (il presidente restò ammaliato dall’allenatore dopo il primo incontro), hanno condiviso il dovere imprescindibile di riportare la Juventus in quota dopo due settimi posti, ma in corso d’opera non sono mancati i contrasti, le accuse, le frecciatine più o meno appuntite. Tanto da valicare i confini del triennio di cui sopra, fino alla coda dell’altra sera allo Stadium.
Il presidente bianconero e il tecnico che fu bianconero vanno d’amore e d’accordo nel corso della prima stagione di Conte, quella della rinascita e del ritrovato scudetto strappato al Milan. I primi attriti risalgono al post Bayern Monaco-Juventus: 2 aprile 2013, i tedeschi – futuri campioni d’Europa – vincono 2-0 nell’andata dei quarti di Champions ed è lì che l’Antonio ex capitano sbotta alla sua maniera, focosa e sanguigna: «Per costruire uno squadrone non bastano paletta e secchiello. Il Bayern ha speso 48 milioni per un unico giocatore, Javi Martinez, e la differenza si vede. Ogni discorso finisce lì».
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