L’inizio della sua nuova vita all’Inter era esattamente come l’aveva sognato Joaquin Correa, con quella doppietta insieme bellissima, rabbiosa ed efficace, da subentrato, all’esordio contro il Verona. Poi però, alcune prestazioni insufficienti e un lieve infortunio all’anca ci hanno riconsegnato il solito Tucu, bellissimo da vedere, spesso anche efficace, ma discontinuo, il più classico degli incompiuti. Con la sosta, però, ha trovato per la prima volta la titolarità, per tutti i 90 minuti, in Nazionale. Al suo ritorno, anche l’Inter avrà bisogno del miglior Correa, per ridare imprevedibilità, gol e bellezza all’attacco di Inzaghi.
ANCORA INCOMPIUTO – Joaquin Correa, a 27 anni, è ancora il più classico degli incompiuti. La mancanza di continuità, i troppi infortuni ed il troppo tempo a ritrovare sé stesso dopo ogni stop fisico, gli hanno impedito, fin qui, di fare quel salto di qualità che le sue doti tecniche gli consentirebbero. Anche andando più nel concreto delle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, ritroviamo quelle classiche del prototipo dell’incompiuto: gli manca cattiveria sotto porta, tende a specchiarsi leggermente più di quanto dovrebbe e, soprattutto, non ha quella fame di vittoria che hanno altri suoi connazionali (come ad esempio Lautaro Martinez), che poi in effetti si traduce nell’esiguità di trofei vinti (è vero, ha ancora 27 anni e quindi il tempo a disposizione è tanto, ma comunque tutt’altro che infinito). Infine, come gran parte dei giocatori incompiuti, mette in mostra una pulizia estetica e tecnica che hanno veramente in pochissimi.
L’ESTETICA – Tecnicamente, il Tucu è uno dei giocatori più belli da vedere che siano passati in Serie A nell’ultimo decennio. L’eleganza, la pulizia e la perfezione delle sue movenze e delle sue giocate, nella loro somma di movimento atletico, tocco di palla, dribbling, e conclusione (in senso di tiro o passaggio finale), sono quanto di più esteticamente gradevole si possa ammirare al momento nel panorama calcistico italiano. Talvolta sono imprevedibili, repentine (come il secondo gol contro il Verona), e quindi stupefacenti, proprio nel senso che suscitano stupore, lasciano con la bocca aperta e gli occhi sorridenti. Da un lato Correa lascia sempre un po’ col fiato sospeso. Dall’altro, però, le sue giocate sono estremamente familiari, si assomigliano tutte, forse semplicemente perché sono di una pulizia impeccabile, quasi fossero prodotte in serie. Spesso il suo modo di ragionare è un libro aperto, le sue intenzioni sono prevedibili. Ad esempio, se si ritrova in area, sul fondo, con due avversari davanti, è molto probabile che proverà a saltarli in un fazzoletto e poi far passare la palla sotto le gambe del portiere. Se invece gli capita di essere servito a campo aperto, con un solo difensore fra lui e la porta, probabilmente proverà a saltarlo (o col doppio passo, o con una finta di corpo, o palla da una parte e lui dall’altra), si presenterà davanti al portiere, che cercherà di mettere a sedere. Spesso ai difensori non basta immaginare le sue intenzioni, ma altre volte sì e forse anche da questo deriva la sua incompiutezza.
UNA SOSTA PER RITROVARSI – La sua avventura all’Inter era iniziata nel verso giusto, con quella doppietta all’esordio, splendida e perfettamente rappresentativa di che cosa significhi essere esteticamente perfetto, e con quell’esultanza invece rabbiosa, che, assieme anche alle parole del post-partita, evidenziava tutta la sua voglia di dimostrare chi è e cosa può fare. Poi dopo qualche prova insufficiente, l’infortunio gli ha tolto continuità. Fin qui, anche all’Inter si è visto il solito Correa, nonostante sembrasse veramente avere una voglia di spaccare il mondo, diversa dal solito, perché consapevole che questa, a 27 anni, sarebbe stata l’occasione della vita, il treno da non perdere. La sosta è arrivata al momento giusto, anche perché, a causa dei problemi fisici di Lautaro e Dybala, il titolare è diventato lui al centro dell’attacco di Scaloni. Tre giorni fa, contro il Paraguay, non è riuscito a incidere, ma stanotte avrà un’altra grande occasione, in tutt’altro palcoscenico: in casa, in un Monumental che ritrova i tifosi e nel big match contro l’Uruguay. Al rientro dalla sosta, poi, troverà proprio la sua Lazio (jetlag permettendo), quella Lazio che lo ha rilanciato ad altissimi livelli e gli ha permesso di conquistarsi la grande chance della sua carriera, quella Lazio che però rappresenta anche il suo passato, di attaccante meraviglioso ma discontinuo, quel passato che ora deve scacciare definitivamente. Probabilmente, in entrambi i casi partirà dalla panchina, visto il recupero di Lautaro, proprio come all’esordio contro il Verona, quando aveva urlato a tutti la sua voglia di dimostrare chi è veramente. Ora, a partire da Uruguay e Lazio, dovrà iniziare una nuova fase della sua carriera: la fase della continuità, della grinta, della maturità e non più, o meglio non solo, della bellezza.