TORINO – Il rossoblù del Genoa l’ha onorato da giocatore, poi da allenatore e quindi da osservatore. Ma anche il granata ha fatto capolino a più riprese nella carriera di Claudio Onofri. Che nel vivaio del Torino è cresciuto, prima di un fugace ritorno una decina di anni più tardi. «Parlare del settore giovanile granata allora significava menzionare una realtà pari a quello che oggi può essere il Barcellona o il Real Madrid: indimenticabile lo scudetto con la Primavera nel 1970, oltre la metà di quell’organico avrebbe poi esordito in Serie A», ricorda il difensore che aveva mosso i primi passi in città con la maglia del Vanchiglia. E che proprio nel capoluogo sabaudo aveva iniziato a tessere la trama di una carriera che l’avrebbe poi condotto al Grifone. «Facevo Ragioneria al Sommelier e di stenografia avevo una professoressa che era tifosa sfegatata del Toro: dato che della materia non capivo granché, quando mi chiamava alla cattedra iniziava a sfogliare Tuttosport e mi chiedeva se all’indomani Agroppi sarebbe stato titolare. Un giorno andammo con lei in gita a Genova, solo che anziché alla Lanterna ci portò al Ferraris: “Qui gioca il Genoa”, disse senza menzionare la Sampdoria. Un segno del destino, con il senno di poi».
Onofri, a tal proposito: come stanno Torino e Genoa oggi?
«Hanno una classifica simile e un ambiente intorno alla squadra un po’ in subbuglio. Ma ci sono anche grandi differenze».
E cioè?
«Il Genoa al momento è ancora un’incognita: è appena arrivata una nuova proprietà, Ballardini sta ruotando moduli ed interpreti. Il Torino non ha ancora appreso tutto quello che Juric può dare alla squadra, ma è evidente come sia avviato sulla giusta strada»
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Dopo le prime giornate, cosa la convince e cosa meno della rosa granata?
«Mi stanno facendo un’ottima impressione soprattutto Bremer in difesa e Brekalo in avanti. Anche se forse mancano due ingranaggi strategici nella fluidità del gioco come per Juric erano Barak e Zaccagni ai tempi del Verona. E poi finora si è sentita l’assenza di Belotti, che però ora mi aspetto nuovamente protagonista».
Come interpreta il mancato rinnovo del Gallo?
«Come qualcosa figlio di un calcio che è cambiato rispetto a quello dei miei tempi, quando il coinvolgimento emotivo di un giocatore aveva un ruolo fondamentale».
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