In tanti se lo ricordano per quel gol al Milan con la maglia del Benevento, nulla di strano se non fosse che Alberto Brignoli (foto Intime.gr) fa il portiere: “All’inizio mi angosciava, ma col tempo ho imparato a metabolizzarla – racconta nella nostra intervista – E’ normale che al tifoso sia rimasto quell’episodio, non posso pretendere di essere ricordato per altro. Per fortuna però gli addetti ai lavori sanno qual è il mio ruolo e vanno oltre”. Insieme a Rampulla e Taibi è l’unico nel suo ruolo ad aver segnato su azione in Serie A. Oltre a quella rete però c’è tanto altro: una storia fatta di gavetta, delusioni e riscatti. L’ultimo step è la Grecia, Panathinaikos. Dove Brignoli è sbarcato in estate dopo aver conquistato la promozione in Serie A con l’Empoli: “Con il mio carattere mi adatto facilmente a ogni contesto, qui si vive bene. Sono ad Atene, una città che ha tutto a disposizione. E’ come stare a Roma o a Milano. C’è una cosa però alla quale ancora non mi riesco ad abituare”. Ahia: “Qui non mettono il sale nella pasta”.
Com’è nata l’idea di andare al Panathinaikos?
“Dopo aver vinto il campionato di B con l’Empoli l’anno scorso avevo molte richieste dalla Serie B e qualcosa in A, come secondo portiere. La mia idea era quella di rimanere ad Empoli anche se avevo un solo anno di contratto, sapevo che sarebbe arrivato un altro portiere ma volevo giocarmi il posto. Poi, gli ultimi tre giorni di mercato, mi è arrivata quest’offerta importante con 3 anni di contratto per puntare a vincere il campionato ed entrare in Europa League. Volevo uscire dalla mia confort zone, così ho deciso di accettare”.
E l’Empoli come l’ha presa?
“Loro mi avevano già detto di trovarmi un’altra soluzione a giugno, quando avevo un’opzione per il rinnovo già firmata ma che non hanno depositato. Non volevano tenermi come secondo, anche se io avevo fatto capire che sarei rimasto volentieri”.
L’altro italiano nella rosa del Panathinaikos è Federico Macheda, che rapporto avete?
“L’ho chiamato prima di firmare, mi ha rassicurato su qualche dubbio che avevo. Appena sono arrivato abbiamo legato subito, è stato molto contento perché fino a quel momento era l’unico italiano in squadra. In generale, questo Panathinaikos è una squadra con più stranieri che greci”.
Che lingua si parla nello spogliatoio?
“Un po’ spagnolo, un po’ italiano e un po’ inglese”.
E col greco come va?
“Faccio fatica, è una lingua a parte che si scrive anche in modo diverso, non si può interpretare. Sto provando a insegnare loro l’italiano, ma per ora hanno imparato solo le parolacce da dire in campo”.
Che effetto le ha fatto debuttare col Panathinaikos proprio nel big match contro l’Olympiacos?
“Una grande emozione. Tutti mi dicevano che è la partita più bella dell’anno, di godermela. L’atmosfera era bellissima, ma non era una gara facilissima. Alla fine sono stato il migliore in campo, ma qui nessuno ti regala niente”.
Ci spieghi.
“Sapevo che la società aveva fiducia in me ma che davanti avevo il portiere della nazionale che è qui da tre anni, non avevo la strada spianata. Poi lui ha preso il Covid e io ho trovato più spazio”.
L’anno scorso è stato premiato come miglior portiere di B dopo la promozione con l’Empoli, ha il rimpianto di non essere rimasto in Italia?
“Più che il rimpianto, sono deluso. Per tanti anni sono sempre stato tra i migliori portieri della B, ma quando una società si trova bene con un portiere difficilmente poi lo cambia”.
Ci racconta l’emozione di quel gol al Milan il 3 dicembre 2017? 2-2 finale, primo punto per la squadra di De Zerbi.
“E’ stato incredibile, quasi da film. L’unica cosa che ricordo è che nella mia testa mi ripetevo ‘non ci credo, non è possibile’. Una sensazione unica”.
Cosa le passava per la mente mentre correva verso l’area avversaria per andare a saltare?
“Mi tremavano le gambe. Ho pensato alla possibilità di prendere gol sul loro contropiede, sarebbe stata una figuraccia”.
Ci racconta un aneddoto di quel giorno?
“Dopo il mio gol, sia i miei parenti che i miei amici hanno avuto tutti la stessa idea di andare a casa dei miei genitori per vedere se mio padre stesse bene o si fosse sentito male”.
È vero che in quella stagione avrebbe dovuto vincere lei il premio del miglior gol, dato poi a Icardi?
“Fino alla sera prima i voti erano quasi tutti a mio favore, il giorno dopo diciamo che qualcosina è cambiata…”.
Nel 2016-17 aveva fatto un’altra esperienza all’estero, al Leganès in Spagna.
“Ero arrivato in prestito dalla Juventus, sono andato lì per giocare ma ho sbagliato perché non mi sono posto nel modo giusto. Forse non ero ancora maturo per andare fuori dall’Italia. Ho fatto tre partite in sei mesi senza avere modo di mettermi in mostra, ma penso che il 70% della responsabilità sia mia”.
È vero che in passato ha fatto un provino con l’Inter?
“Sì, quando ero in Serie D a Montichiari. Cercavano un portiere per la Primavera, c’era Belec che era un classe ’90 ma dovevano prenderne uno più giovane. A gennaio andai a fare un provino e non andò male, ma alla fine presero Bardi perché aveva un anno in meno di me”.
Poi fu vicino al Siena di Conte.
“Alla fine di quella stagione. Mi voleva il ds Perinetti, poi dal fallimento del Mantova presero Iacobucci a zero. Ma è andata bene così, ho fatto la gavetta dalla D alla C1, poi tre anni di B prima di andare alla Juventus”.
Che esperienza è stata?
“Ho fatto qualche settimana a luglio prima di andare in prestito, fantastica. Avevo campioni da tutte le parti. E’ stato come fare un master a Google. Cercavo di rubare ogni movimento con lo sguardo, sia in campo che a livello comportamentale”.
Chi è stato il giocatore che l’ha impressionata di più?
“Ricordo che Chiellini, Barzagli e Lichtsteiner lavoravano sempre a testa bassa, e inoltre erano super disponibili con tutti; anche con me, un ragazzo che arrivava dalla Serie B. Una volta ricordo che Buffon era appena rientrato dalla Nazionale, avevamo il giorno libero ma voleva andare comunque ad allenarsi, e mi chiese se potevo lavorare insieme a lui”.
Nel suo Benevento, allenato da De Zerbi, il preparatore dei portieri era quel Francesco Farioli che oggi allena in Turchia.
“Preparava gli allenamenti in modo attento e scrupoloso, analizzava dati e ci metteva a disposizione qualsiasi tipo di statistica per studiare l’aspetto tattico e caratteriale. Sugli avversari era preparatissimo. Si vedeva che aveva voglia di fare l’allenatore, ma purtroppo per emergere è dovuto andare all’estero”.