Li sento, lo so bene quello che dicono. E allora? Noi la vinciamo lo stesso. Questa Coppa ci è stata data e questa l’abbiamo giocata fino all’ultimo, che si chiami Coppa dello Zio, del Cugino, del Nonno o della Suocera non cambia assolutamente nulla. Per amore dello sport… Perché se così non fosse, addio … No, questa non la gioco, non mi si addice, non fa pendant con i colori della maglietta. O peggio. Perché fuori dallo schema in cui è giusto vincere ciò che si può vincere, c’è il nulla, e nel nulla non c’è lo sport. Ho visto la Fiorentina in festa per aver raggiunto un traguardo che può sembrare minore, ma lo volevano con tutte le loro forze. Ed erano felici di avercela fatta. Lo sport non è solo lo scudetto, e non soltanto la coppa dalle grandi orecchie a sventola. Lo sport è misurarsi con quello che si ha per migliorare un domani. Una finale con il Feyenoord, ben venga. Deve essere un onore. Chiamatela pure come vi pare questa Coppa, ma la Roma, la mia Roma, ha interpretato bene questo spirito. E io sono contento.
Se poi dovessero vincere, lo sarò anche di più. Ma per quello mi affido a Mourinho, che mi sta in grande simpatia. E magari a lui non piace neanche troppo stare in simpatia a qualcuno, però, che volete farci. Ha il volto del tecnico del futuro, quello che di tutto si occupa e tutto tiene sotto controllo. Contratti, spese, squadra, staff, medici. Anche gli arbitri, cui non ha risparmiato polemiche. Alcune forse poteva evitarle, direte, ma Mou svolge un compito, e certe cose le fa, e le dice, all’interno di questo ruolo. E poi, ci ha messo poco a essere romano. Ci sa fare. È entrato nella parte e nel cuore di una città che vive della sua storia, della presenza del Papa, e del suo dna così particolare. Mourinho sembra trovarcisi magnificamente. È un guru, autentico. Uno che ha risposte da dare. Qualche volta un guru un po’ furbetto. Un paraguru, come diciamo dalle nostre parti.
Credo anche che la Roma abbia rispettato i compiti che le hanno affidato a inizio stagione. È giunta in una posizione che vale la continuità europea, ha trovato calciatori che ne potranno costituire l’ossatura in futuro. Abraham mi piace molto, ma a chi non piace? Atleta formidabile… Agile, sinuoso, ma potente. Lo guardo e ci rivedo un amico carissimo, Yannik Noah. Chissà se si somigliano anche di carattere. Poi credo molto in Lorenzo Pellegrini, ha testa, modi giusti, ama esserci senza il bisogno di sovrastare gli altri. Vedo una Roma pronta per crescere, e spero che la Conference League convinca tutti i ragazzi che possono cominciare a scalare quei gradini che servono per ritrovarsi nella parte più alta del calcio italiano.
Dybala? Magari… Temo di no, ma se davvero si lasciasse convincere sarebbe uno spettacolo. Roma è davvero la sua piazza. Farebbe innamorare la città con le sue giocate. Me per primo, che a quel tipo di giocatori, nel calcio, nel tennis, ho sempre delegato una funzione che non va mai dimenticata. Quella di valere il prezzo del biglietto. È un dovere che chi fa sport professionale non può mai dimenticare. Ma Dybala, via, manco a dirlo. Lui con i piedi potrebbe farci anche le smorzate. E ho detto tutto…