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Quotazione in Borsa: per i club italiani pochi vantaggi e nessun business

L’ultima a entrare a Piazza Affari è stata la Juve: la società di Agnelli è presente dal 2001

In principio fu il Tottenham, sbarcato sul listino londinese nel 1983, epoca
in cui in Italia la legge sul professionismo sportivo (la famigerata 91 del 1981) era in vigore da meno di due anni e la quotazione in Borsa non
era nei pensieri dei presidenti. D’altronde, anche volendo, non sarebbe stato possibile quotarsi per via dei vincoli posti dalla stessa legge 81, norma che imponeva il fine non lucrativo: gli utili, ossia la differenza tra ricavi e costi, dovevano essere interamente reinvestiti nella società per il perseguimento esclusivo dell’attività sportiva. Uno scenario rimasto immutato fino al recepimento in Italia della Sentenza Bosman. Con la Legge 485 del 1996 viene finalmente eliminato il divieto di distribuzione degli utili, equiparando così le società sportive alle tradizionali Spa e concedendo quindi ai club la possibilità di essere quotati in Borsa. Processo ancora però non fattibile, almeno fino alla fine del 1997 quando viene approvato il nuovo regolamento per l’ammissione al mercato azionario, riducendo notevolmente i precedenti vincoli. Scompare soprattutto l’obbligo di presentazione degli ultimi tre bilanci in utile, limite oltremodo penalizzante per le società sportive.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


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