Il 18 luglio avrebbe compiuto ottant’anni. Se fosse vivo si dividerebbe ancora tra i suoi grandi amori: la famiglia e i nerazzurri. È stato un esempio più che un simbolo. Ricordo di un uomo che resta nel cuore della sua gente
Veloce, leggero. Innovatore, tecnico. Serio, onesto. Competente, interista. Giacinto Facchetti compirebbe 80 anni il 18 luglio e chissà come sarebbe stata la sua vita nella terza età, diviso tra i suoi due grandi amori: la famiglia e l’Inter. È stato e sarà sempre l’eterno numero 3 nerazzurro, il primo terzino che attaccava e faceva gol con incredibile facilità. Il terzino che non faceva falli e che in oltre 600 partite fu espulso una volta sola. Un episodio talmente anomalo che il pubblico, il suo pubblico, si alzò in piedi per accompagnare con un applauso la sua corsa verso il tunnel. In quell’applauso c’era adesione più che tifo: l’asse portante su cui si forma il concetto di popolo. Che non può fare a meno di scegliere un suo leader cui affidare sogni e speranze. Una figura che ti rappresenta e di cui essere orgogliosi. Esistono capitani diversi: i campioni troppo forti per non essere rappresentativi, i leader silenziosi cui basta l’esempio per farsi rispettare. Facchetti godeva di un amore trasversale, universale. Giacinto è stato un esempio e non un simbolo, perché i simboli dividono e dagli esempi possono nascere invece solo modelli positivi. La personalità che usciva dalle sue cavalcate travolgenti non ha mai preso il sopravvento su quella timidezza dietro la quale il Giacinto calciatore si nascondeva nei suoi primi anni nerazzurri.